Quali dinamiche in particolare non ha gradito?
«Un mondo di preconcetti e di pregiudizi. Essere Bernardi era diventato un problema più che un valore aggiunto. A volte è meglio essere falsi che sinceri, se fai lo “yes men” sopravvivi sempre. Io però volevo essere me stesso, con la mia personalità e i miei difetti».
Ce l’ha con qualche dirigente in particolare?
«Dico solo che alcuni occupano determinate posizioni senza avere le caratteristiche e i requisiti giusti. A Novara sono tornato a respirare».
Cosa le sta dando più soddisfazione ora?
«La disponibilità nell’affrontare i cambiamenti. Le ragazze sono fantastiche, si fidano di me».
Due Mondiali, tre Europei, un argento olimpico, nove scudetti, quattro Champions, poi un triplete da allenatore a Perugia e tanto altro. Sono 29 titoli da giocatore, altre 16 medaglie con la Nazionale e questo è il nono titolo da tecnico, il primo nella femminile. Ha paura che prima o poi la vittoria finisca per darle assuefazione?
«Mai. Non ci si stanca mai di vincere. In questo mi sento un cannibale: voglio tutto. Da giocatore sei l’attore principale, da allenatore sei quello che devi mettere gli altri nella condizione di vincere. Da giocatore te la godi di più perché pensi a te stesso. Programmare il contorno è uno stress sicuramente maggiore».
Conegliano è una corazzata, Milano la vuole raggiungere. Lo scudetto è un obiettivo per voi?
«Le dico una cosa: quando giocavo non mi sono mai allenato per diventare il miglior giocatore del secolo. Mi allenavo per migliorare in quel preciso momento. E questo dico alle ragazze ogni giorno. “Uscite da questo allenamento migliori da come ci siete entrate”. Step by step, a fine stagione capiremo di che pasta siamo fatte».
Teme le pressioni?
«No, semplicemente non credo che le ossessioni portino buoni frutti».
Per lei ripartirà la favola azzurra. Sensazioni?
«Noi che abbiamo fatto parte di quella Nazionale abbiamo il Dna di colore azzurro. Come fai a dire no a Velasco e a quella maglia? È la squadra di tutti ed è straordinario farne parte. Ho accettato di fare il collaboratore perché Julio è stato l’allenatore più importante della mia carriera. In altre condizioni non so se avrei accettato».