Zola esclusivo: "La scelta di Dybala riempie il cuore"

Dal Pibe de Oro a Gigi Riva, dal calcio italiano a quello inglese: Sir Gianfranco parla di Nazionale e campionato, mette a fuoco le sue squadre e spiega come far ripartire il nostro movimento
Zola esclusivo: "La scelta di Dybala riempie il cuore"© Getty Images
Ivan Paone

Zola Gianfranco, calciatore e allenatore italiano (Oliena, Nuoro, 1966). Fantasista”. Non sono tanti i giocatori italiani a avere l’onore di comparire nell’enciclopedia Treccani online. Del resto, a memoria non mi pare che qualcuno sia stato insignito dalla Regina Elisabetta II del titolo di membro dell’Impero Britannico. Al ragazzo partito da un paesino di settemila abitanti ai piedi del monte Corrasi e arrivato nel cuore di Londra e dei suoi tifosi, è capitato. E adesso, grazie al curriculum e all’esperienza, ne ha per tutti (si fa per dire, perché il tratto distintivo di sir Zola è l’educazione): da Spalletti a De Rossi, da Osimhen a Dybala, passando per i grandi mali del calcio italiano.

Zola, l’Italia di Spalletti, dopo il disastroso Europeo, è ripartita con una vittoria squillante sulla Francia. Sorpreso? 
«Sì, lo devo ammettere. La Nazionale è stata grande per personalità, per la capacità dei nuovi innesti di inserirsi, per la reazione che ha avuto dopo il gol lampo di Barcola. Ma, attenzione. Siamo solo all’inizio di un lungo percorso».

Il rischio è di illudersi troppo presto? 
«Il problema è che la rinascita della Nazionale non dipende solo da Spalletti, dai dirigenti federali e dai giocatori. Ma dal calcio italiano nel suo complesso. Dobbiamo essere capaci di far crescere giovani talenti, dare più qualità al nostro movimento. Altrimenti, la vittoria sulla Francia resterà senza seguito».

A proposito di talento, mi viene da dire che sei capitato in Nazionale nel momento sbagliato, vista la concorrenza di allora. 
«E invece non è così. Io sono stato fortunato ad avere compagni in azzurro Del Piero, Baggio, Vialli, Mancini e tanti altri. Da tutti loro ho imparato qualcosa e sono stato spinto dal loro esempio a sollevare sempre un po’ di più l’asticella».

Ma in Nazionale non sono state poche le delusioni. Per esempio, l’espulsione con la Nigeria al Mondiale di Usa 94. Dopo quanto tempo sei riuscito a smaltire non solo l’amarezza, ma anche la rabbia per una decisione clamorosamente ingiusta? 
«L’altro giorno è venuto qua a casa mia Pierluigi Casiraghi, che divideva con me la stanza al Mondiale. Abbiamo rievocato l’episodio e mi ha ricordato che per due giorni non ho aperto bocca. Io neanche avevo memoria di questo, pensa un po’. Lo sconforto fu enorme, la Nazionale per me era il centro dell’universo. Avevo sedici anni quando l’Italia di Bearzot vinse il titolo in Spagna nell’82. Sono cresciuto con negli occhi l’immagine di Zoff che solleva la coppa sotto lo sguardo del presidente Pertini».

Come hai reagito a quello shock? 
«Mai avuto problemi a superare le difficoltà. Il campionato successivo, il mio secondo al Parma, fu il mio migliore di sempre, segnai 19 gol in campionato».

Prima di Parma, il Napoli e Maradona. Inutile soffermarsi sulla grandezza di Diego, vorrei chiederti del momento della sua morte. 
«Io non amo la bicicletta, è troppo faticosa. Ma quel giorno la inforcai e percorsi sessanta chilometri. Volevo stare solo, smaltire un dolore profondo. Diego era mio padre. Un uomo di una generosità immensa, difficile da aiutare proprio per la sua grandezza».

Veniamo ai giorni nostri, Dybala e Osimhen. Qual è il tuo parere? 
«Una storia bellissima e un’altra un po’ meno. Dybala ha scelto col cuore e non col portafoglio. Ma non voglio giudicare, ognuno è libero di fare le sue scelte. Certo la storia di Paulo è una di quelle che riempie il cuore di chi ama il calcio».


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È stata anche un’estate di giocatori che rifiutavano di allenarsi inviando certificati medici. 
«Guarda, queste cose non mi piacciono. Ma non voglio dare giudizi morali, non ne ho alcun titolo».

Intanto, l’Inter dopo un’iniziale incertezza, sta andando come un razzo. E’ la favorita per lo scudetto? 
«La squadra campione d’Italia lo è sempre».

Il Napoli l’anno scorso ha smentito questa tesi. 
«Vero, ma è stato stravolto dalle partenze di Spalletti, del diesse Giuntoli e da un perno della difesa come Kim. L’Inter invece ha tenuto l’intelaiatura e aggiunto quello che serviva per rinforzare la rosa in vista di una stagione zeppa di impegni, tra campionato e Champions League». 

Dopo l’Inter? 
«Il Napoli. Conosco Antonio e, credetemi, quando c’è Conte di mezzo, niente è scontato. Il Napoli rimarrà in lotta sino alla fine».

Sarà una corsa a due? 
«No, la differenza rispetto allo scorso torneo è che quest’anno c’è più concorrenza. Date tempo a Gasperini e l’Atalanta verrà fuori. E il Milan, al momento dall’andamento incerto, è un’ottima squadra».

La Juve dove la collochi? 
«Mi piace molto il suo progetto, indica un cambio di mentalità. Non solo vittorie ma anche bel gioco. Thiago Motta è bravissimo e i dirigenti bianconeri sono stati conquistati da ciò che ha fatto a Bologna. Credo che sia stata vincente l’idea della seconda squadra, che poi altri hanno imitato, perché ha consentito di sfornare diversi giovani di valore. E’ la strada giusta. Ripeto, quest’anno l’Inter dovrà vedersela con rivali molto agguerrite».

Alla Roma De Rossi è di fronte a un esame di maturità. 
«Daniele mi piace molto, ha idee e personalità. La sua squadra costruisce bene da dietro ma deve crescere parecchio. Ne ha le possibilità. La sfida più grande di De Rossi sarà quella di far coesistere Soulé e Dybala, due campioni».


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Torniamo al Napoli, che domenica sarà di scena a Cagliari, dove sei stato protagonista di una promozione in A e di una bellissima salvezza. 
«Giocherà per vincere, come è giusto che sia, con un attaccante di valore assoluto come Lukaku. Antonio e Romelu si conoscono bene, è un valore aggiunto».

Il Cagliari? 
«La battuta d’arresto di Lecce è pesante, perché veniva da due buoni pareggi con Roma e Como. Ora ha tre gare difficili: Napoli, scontro salvezza con l’Empoli e poi a Parma, contro una squadra che gioca bene e che ha Pecchia, allenatore bravissimo. E’ arrivato Gaetano, ottimo giocatore, aumenterà il tasso di qualità. Poi c’è Prati, regista di valore che però deve crescere. L’incognita è l’attacco che segna poco. Nicola ha dato alla sua squadra un’ottima fase difensiva, ora deve lavorare di più su quella offensiva».

Giulini ha scelto la linea giovane, cosa ne pensi? 
«Scelta sacrosanta, è quello che devono fare le società di medio livello: cercare calciatori di prospettiva, non si può mica andare sul mercato e sperperare i soldi minando il bilancio del club. Quindi, devi costruirti in casa i giocatori forti e per farlo le i club devono dotarsi di una struttura tecnica capace di individuare ragazzi di prospettiva».

Insomma, auspichi un ritorno agli anni 90, quando i calciatori italiani erano al top. 
«In Serie A giocavano stranieri fortissimi, i più forti del mondo, ma gli italiani non erano da meno. Dobbiamo tornare a quei livelli. Serviranno anni di lavoro ma il traguardo deve essere questo».

Dopo gli esordi nella Corrasi, la squadra del tuo paese, Nuorese, Torres, Napoli, Parma e Chelsea, prima del rientro in Italia, al Cagliari. In Inghilterra la consacrazione: 229 partite, 59 gol, il premio come miglior giocatore del Chelsea di tutti i tempi, l’incontro con la Regina e il titolo di sir. In Inghilterra il calcio è un’altra cosa? 
«Sì, è più spontaneo, mentre in Italia siamo molto concentrati sulla tattica e il gioco risulta più lento e meno divertente. Poi c’è una differenza di mentalità, tutte le squadre, anche quelle che lottano per la salvezza, giocano sempre per vincere. Non esiste un problema di motivazioni, si scende in campo ogni volta per dare il massimo. È una forma di rispetto».

Vorrei chiudere con una nota malinconica. L’altro giorno è venuto a mancare Cesare Poli, uno dei protagonisti dello scudetto 1970 del Cagliari. A gennaio è scomparso Riva. Qual è il tuo ricordo? 
«Non ho parole adatte per esprimere le mie emozioni, mi viene ancora adesso la pelle d’oca. Per noi sardi, Gigi è un esempio inarrivabile, una di quelle figure a cui tutti dobbiamo molto. L’ho conosciuto bene in Nazionale e come uomo, se possibile, è stato più grande che come calciatore. Io mi son o sempre guardato indietro, alla ricerca di esempi positivi a cui ispirarmi e Gigi è stato uno di questi, il migliore. Il mio sogno era di riuscire a rappresentare la mia gente come ha fatto lui. Il 22 gennaio Gigi se n’è andato, ma non se n’è andato». 


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Zola Gianfranco, calciatore e allenatore italiano (Oliena, Nuoro, 1966). Fantasista”. Non sono tanti i giocatori italiani a avere l’onore di comparire nell’enciclopedia Treccani online. Del resto, a memoria non mi pare che qualcuno sia stato insignito dalla Regina Elisabetta II del titolo di membro dell’Impero Britannico. Al ragazzo partito da un paesino di settemila abitanti ai piedi del monte Corrasi e arrivato nel cuore di Londra e dei suoi tifosi, è capitato. E adesso, grazie al curriculum e all’esperienza, ne ha per tutti (si fa per dire, perché il tratto distintivo di sir Zola è l’educazione): da Spalletti a De Rossi, da Osimhen a Dybala, passando per i grandi mali del calcio italiano.

Zola, l’Italia di Spalletti, dopo il disastroso Europeo, è ripartita con una vittoria squillante sulla Francia. Sorpreso? 
«Sì, lo devo ammettere. La Nazionale è stata grande per personalità, per la capacità dei nuovi innesti di inserirsi, per la reazione che ha avuto dopo il gol lampo di Barcola. Ma, attenzione. Siamo solo all’inizio di un lungo percorso».

Il rischio è di illudersi troppo presto? 
«Il problema è che la rinascita della Nazionale non dipende solo da Spalletti, dai dirigenti federali e dai giocatori. Ma dal calcio italiano nel suo complesso. Dobbiamo essere capaci di far crescere giovani talenti, dare più qualità al nostro movimento. Altrimenti, la vittoria sulla Francia resterà senza seguito».

A proposito di talento, mi viene da dire che sei capitato in Nazionale nel momento sbagliato, vista la concorrenza di allora. 
«E invece non è così. Io sono stato fortunato ad avere compagni in azzurro Del Piero, Baggio, Vialli, Mancini e tanti altri. Da tutti loro ho imparato qualcosa e sono stato spinto dal loro esempio a sollevare sempre un po’ di più l’asticella».

Ma in Nazionale non sono state poche le delusioni. Per esempio, l’espulsione con la Nigeria al Mondiale di Usa 94. Dopo quanto tempo sei riuscito a smaltire non solo l’amarezza, ma anche la rabbia per una decisione clamorosamente ingiusta? 
«L’altro giorno è venuto qua a casa mia Pierluigi Casiraghi, che divideva con me la stanza al Mondiale. Abbiamo rievocato l’episodio e mi ha ricordato che per due giorni non ho aperto bocca. Io neanche avevo memoria di questo, pensa un po’. Lo sconforto fu enorme, la Nazionale per me era il centro dell’universo. Avevo sedici anni quando l’Italia di Bearzot vinse il titolo in Spagna nell’82. Sono cresciuto con negli occhi l’immagine di Zoff che solleva la coppa sotto lo sguardo del presidente Pertini».

Come hai reagito a quello shock? 
«Mai avuto problemi a superare le difficoltà. Il campionato successivo, il mio secondo al Parma, fu il mio migliore di sempre, segnai 19 gol in campionato».

Prima di Parma, il Napoli e Maradona. Inutile soffermarsi sulla grandezza di Diego, vorrei chiederti del momento della sua morte. 
«Io non amo la bicicletta, è troppo faticosa. Ma quel giorno la inforcai e percorsi sessanta chilometri. Volevo stare solo, smaltire un dolore profondo. Diego era mio padre. Un uomo di una generosità immensa, difficile da aiutare proprio per la sua grandezza».

Veniamo ai giorni nostri, Dybala e Osimhen. Qual è il tuo parere? 
«Una storia bellissima e un’altra un po’ meno. Dybala ha scelto col cuore e non col portafoglio. Ma non voglio giudicare, ognuno è libero di fare le sue scelte. Certo la storia di Paulo è una di quelle che riempie il cuore di chi ama il calcio».


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