Gigi caro Gigi: certo non sono questi i momenti ideali per trovare le parole, ma noi tutti qui fuori sentiamo comunque il bisogno infantile di dire e di esprimere qualcosa, perché sei dei nostri, perché sei dei migliori, e certo non sarà questo passaggio fatale a cambiare il tuo cuore, il cuore che amiamo noi, un cuore che resterà sempre grande, forte, indomito, nobile. Un cuore che fa bene al nostro cuore. Magari non ha alcun senso stare qui adesso a elencare le ragioni, il perché e il percome, di questo legame così forte, passato attraverso le correnti del tempo, di generazione in generazione, di Italia in Italia. Ma all’altro capo del filo che ci lega, che nessuna morte fetente troncherà mai, c’è da mezzo secolo una mitologia dolcissima, c’è l’atleta statuario contraltare dell’abatino, con le tartarughe vere non tatuate agli addominali, la mandibola squadrata da gladiatore, la sigaretta per amica, e quel tiro alla dinamite, staffilate e stangate da incrinare i pali, l’unica bomba che piacerebbe sempre vedere, l’unica bomba artistica e innocua che spaventava solo i portieri. Erano gli anni ancora vergini di internet e dei trapper, erano gli anni del poco che bastava perché sembrava tutto, gli anni in cui le mamme spendevano i primi soldi del boom lavandoci col Pino Silvestre Vidal e sciogliendo l’Ovomaltina nel latte a colazione, sperando di farci più robusti e più muscolosi, perché Ovomaltina dà forza, e se c’era da fare un esempio venivi buono proprio tu, giovane ala sinistra – solo sinistra, esclusivamente sinistra, spudoratamente sinistra – col fisico del Big Jim.