Lo Scudetto del Cagliari
Un giorno, quella favola stramba arrivò al suo lieto fine con lo scudetto, era la squadra di Niccolai che firmava come un Picasso pelato autogol surrealmente artistici, era la squadra del Filosofo Scopigno in panchina, un mister che come Socrate di mare fondò la sua scuola socratica, un aforisma una sigaretta, una massima una sigaretta, una verità una sigaretta, poi una sigaretta una sigaretta. Era quel Cagliari diventato paradigma di tutte le rivincite e di tutti i riscatti popolari, ma da quella volta fu innanzi tutto il Cagliari di Gigirriva (mai una sola), premessa e trampolino poi per la nazionale di Gigirriva, perché all’epoca del sanguinoso dualismo Mazzola-Rivera tu eri il punto fermo, indiscutibile e inamovibile, la vera unità nazionale ante-litteram, mettessero Rivera o Mazzola, mettessero chiunque s’inventassero, ma là davanti c’era una certezza e per piacere almeno quella vediamo di servirla a dovere, lancio lungo, corsa travolgente e spallate taurine, infine quel sinistro terribile come un sinistro stradale. Caro Gigi, resti il miglior marcatore in azzurro (35 gol in 42 presenze), resti campione d’Europa del ‘68 e vicecampione del mondo nel ‘70, hai i gradi e le medaglie della mitologica Italia-Germania 4-3, ma lascia che per quei particolari anni, gli anni più creativi, più fertili, più colorati del Dopoguerra (sì, anche di nero, perché i colori li avevano proprio tutti), lascia che tra i tanti idealismi e le tante poetiche di quel clima irripetibile rimanga come un emblema e un modello il tuo coraggio - cocciuto e inverosimile - di dire no alla Juve, quando la Juve era la Juve e un suo desiderio era un ordine, in Fiat avevano pronto l’assegno di un miliardo, per te ingaggi da mettere i piedi sulla scrivania dei banchieri, eppure quel Gigirriva disse no grazie, resto qui, per parlare la lingua d’oggi come dire no a Miami o all’Arabia: il fatto è che la tua Arabia l’avevi già sottocasa, non la bella vita della sguaiata società, ma la vita bella della Sardegna profonda, con il vento leggero dal mare, mezzo bicchiere di Cannonau a pasto e quel calore muto, senza finte cerimonie, di una gente devota come sposa e sorella. Attraverso gli anni, le generazioni, le Italie, il campione di allora e l’ambasciatore azzurro del dopo hanno sempre lasciato nel cuore del Paese il segno tenero e sublime di un’umanità sobria, ferma, garbata. Il segno di un eccezionale uomo qualunque. E’ per questo, amato Gigi, che proprio mentre il tuo cuore si fermava, questo cuore italiano ha cominciato a battere più forte. Facili da riconoscere, palpitazioni d’amore.