Alla scoperta dell'Isola
La storia statistica è disponibile su tutti i testi e su tutte le Wikipedia, basta cliccare e c’è una leggenda, eri del ‘44 e dopo un campionato in C a Legnano ti toccò subito la scelta dell’esploratore, lasciare il bozzolo di Leggiuno, un borgo defilato e sconosciuto, per avventurarti nell’Isola, che non era di Arturo mai dei sardi, prima molto prima delle combriccole placcate di Porto Cervo e del Billionaire, la Sardegna ancora orgogliosamente chiusa in se stessa e su se stessa. Era il ‘63, morivano il Papa Buono e il miglior Kennedy, la Sardegna era sulla luna, ma non servì molto tempo per ritrovarti bandiera e sovrano di quel reame asciutto e ispido, nel territorio e nell’anima, ma tenace e leale, esattamente come te. Eri sardo dentro, almeno un po’, e la fusione fu totale. Che bello adesso riassumere i 14 anni di quell’epopea, fino al ‘77, un’epopea di reciproca fedeltà, di reciproca gratitudine, di reciproca adorazione. E di baldoria generale al Sant’Elia. Sì, mentre i Beatles diventavano i Beatles e poi svanivano nei dissapori, il Cagliari di Gigirriva (i sardi non sono mai riusciti a dirne una sola) diventava la prima bella favola del calcio moderno, quella poi ripetuta dal Verona di Bagnoli, dal Nottingham Forest, dallo stesso Leicester di Ranieri, una di quelle storie che non piacciono ai manager palancai delle Superleghe perché rompono l’anima al bel mondo dei loro affari, dove gioca solo chi porta il pallone e dove vincono solo i soci del circolo.