Pagina 1 | Sinner come Monzon: il talento del martello

Sinner ricorda Monzon. Detta così suona male. Quello che Jannik fa su un campo da tennis, richiama alla mente Carlos e il suo modo di stare sul ring. È l’essenzialità dei gesti nella pratica dei loro sport, la forza della mente e dei colpi, l’atteggiamento nei match, ad avvicinarli. La calma interiore, a volte erroneamente scambiata per mancanza di emozioni. La capacità di circoscrivere i confini del superfluo, riuscendo così a non perdere mai di vista l’essenziale. Sono tutti elementi di forza, non certo di debolezza. Sinner da fondocampo impone il gioco, con la potenza dei colpi e la capacità di dare continuità e qualità al suo dritto («Può starsene laggiù a picchiare per quattro ore consecutive senza problemi» ha detto qualcuno). E se l’altro non dovesse cedere il punto, c’è sempre la soluzione in lungolinea con il rovescio a fare da giustiziere. Essenziale. Come l’uno-due dell’argentino.

Diretto sinistro, diretto destro. Ma anche un jab sinistro per sistemare meglio il bersaglio, per poi piazzare un destro di incredibile potenza e chiudere il conto. Così ha messo ko Nino Benvenuti ed è diventato campione del mondo. Qualcuno pensava non fosse giusto definirlo un grande pugile. Aveva ragione, Monzon era un fuoriclasse. Il martellare continuo dal fondo, la capacità di tenere un ritmo alto fino a travolgere quest’anno 55 rivali, perdendo solo cinque partite. Essenziale. Il tennis, come il pugilato, può essere sia danza che battaglia. Magari un rovescio a una mano può essere più bello di una bastonata da fondocampo, ma sempre un 15 porti a casa. E poi la bellezza si può cercare anche nella costruzione del punto, nella capacità di vedere, anzi intuire, prima degli altri dove stia andando la pallina. Così da poterla impattare nel miglior modo possibile e creare problemi seri a chi sta nell’altra parte del campo. Geniale, talentuoso. Essenziale, Sinner. Come il gancio o il montante del campione dei pesi medi.


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Aveva la pazienza di portare il progetto sino all’esecuzione finale. Metteva in piedi una strategia che tendeva a illudere l’altro, fino a fargli credere che potesse andare a colpire duro. Lo spingeva a osare. Era il momento giusto per tirare quelli che, in gergo, si chiamano colpi girati. Ganci e montanti, appunto. E la storia si chiudeva lì. Su un campo da tennis, Sinner ricorda Monzon sul ring anche nell’atteggiamento mentale. Non ha perso la calma, né la sicurezza in finale quando Fritz, avanti 5-4, è andato a servire per il terzo set. Gli spettatori esaltati, l’americano carico a pallettoni, Jannik in sofferenza per qualche errore di troppo. Un attimo dopo l’italiano andava alla risposta, il seguito della storia lo conoscete tutti. C’è solo la partita nella testa di Jannik. Niente urla, niente lamentele, nessuna racchetta spaccata. Dritto, rovescio, qualche smorzata, rare discese a rete. Ha capito, e Cahill&Vagnozzi lo hanno spinto lungo questo sentiero, che la sua natura non prevede risse. In campo deve fare solo quello che gli riesce meglio, tirare più forte di tutti («Ti porta via la racchetta» ha detto Paul). Ha soffiato sulla polvere che copriva l’essenziale del suo gioco ed è salito in cima al mondo. Come ha fatto Monzon nel primo match contro Benvenuti.

Nessuna sceneggiata, nessuna parola fuori posto. Ha messo knock out l’eroe di casa e, subito dopo avere tirato il colpo, si è girato ed è tornato verso l’angolo. Non sentiva il bisogno di vedere i disastri provocati da quel diretto destro. Gli sembrava una cosa inutile. Sapeva già che quella notte, l’avventura si chiudeva lì. Non era necessario sottolineare quello che aveva fatto. Essenziali anche nelle risposte alle difficoltà. Jannik ha affrontato Medvedev nei quarti. Il russo si era guadagnato una palla break. Sbagliava però una volée a campo aperto. Ciao Daniil, il treno è passato e tu non l’hai preso. Non ci sarà un’altra occasione, Jannik non perdona. Testa, determinazione, talento.


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Come Monzon contro Benny Briscoe. Un terribile destro dell’americano centrava Carlos in pieno volto. Mancava meno di un minuto alla fine del nono round. L’argentino era scosso, ma aveva la forza di legare, abbracciare, complicare la vita dell’avversario sino al termine della ripresa. Finiva lì il Grande Sogno del pugile statunitense. Essenzialità, attenzione, non è sinonimo di noia. Con la sua boxe essenziale, Carlos Monzon ha disputato 15 mondiali e li ha vinti tutti, è rimasto campione per sette anni ed è sicuramente sul podio dei pesi medi nell’intera storia della boxe. Jannik Sinner, a 23 anni, è numero 1 del mondo, ha vinto due Slam e 16 tornei in carriera. Uno spettacolo, altro che noia.


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Sinner ricorda Monzon. Detta così suona male. Quello che Jannik fa su un campo da tennis, richiama alla mente Carlos e il suo modo di stare sul ring. È l’essenzialità dei gesti nella pratica dei loro sport, la forza della mente e dei colpi, l’atteggiamento nei match, ad avvicinarli. La calma interiore, a volte erroneamente scambiata per mancanza di emozioni. La capacità di circoscrivere i confini del superfluo, riuscendo così a non perdere mai di vista l’essenziale. Sono tutti elementi di forza, non certo di debolezza. Sinner da fondocampo impone il gioco, con la potenza dei colpi e la capacità di dare continuità e qualità al suo dritto («Può starsene laggiù a picchiare per quattro ore consecutive senza problemi» ha detto qualcuno). E se l’altro non dovesse cedere il punto, c’è sempre la soluzione in lungolinea con il rovescio a fare da giustiziere. Essenziale. Come l’uno-due dell’argentino.

Diretto sinistro, diretto destro. Ma anche un jab sinistro per sistemare meglio il bersaglio, per poi piazzare un destro di incredibile potenza e chiudere il conto. Così ha messo ko Nino Benvenuti ed è diventato campione del mondo. Qualcuno pensava non fosse giusto definirlo un grande pugile. Aveva ragione, Monzon era un fuoriclasse. Il martellare continuo dal fondo, la capacità di tenere un ritmo alto fino a travolgere quest’anno 55 rivali, perdendo solo cinque partite. Essenziale. Il tennis, come il pugilato, può essere sia danza che battaglia. Magari un rovescio a una mano può essere più bello di una bastonata da fondocampo, ma sempre un 15 porti a casa. E poi la bellezza si può cercare anche nella costruzione del punto, nella capacità di vedere, anzi intuire, prima degli altri dove stia andando la pallina. Così da poterla impattare nel miglior modo possibile e creare problemi seri a chi sta nell’altra parte del campo. Geniale, talentuoso. Essenziale, Sinner. Come il gancio o il montante del campione dei pesi medi.


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