La Lazio è ancora in corsa su quattro fronti, in venti giorni ha azzerato critiche e sospetti: lotta per l’Europa delle big, il 14 febbraio affronterà il Bayern negli ottavi di Champions, ha raggiunto la semifinale di Coppa Italia e in Arabia si giocherà la possibilità di conquistare un trofeo. Sarri ha trovato la quadratura del cerchio, spegnendo il fuoco di qualche contestatore. Ha ricostruito la squadra con sapienza. Non si è mai smarrito: le idee, la serietà, il lavoro e la pazienza sono la sua ricchezza. E in questa favolosa risalita ha recitato un ruolo cruciale anche la società: forte, unita, compatta, in grado di sostenere l’allenatore e correggere qualche comportamento sbagliato, attraverso gli interventi mirati di Lotito e Fabiani. Felipe Anderson ha aiutato la Lazio a vincere un match complicato, sporco e nervoso, contro un Lecce organizzato bene da D’Aversa. Geniale e imprevedibile, come raccontava già nel 2012 Muricy Ramalho ai cronisti che seguivano il Santos: tanti complimenti, da parte del suo vecchio allenatore, ma anche qualche battuta severa, perché gli rimproverava di essere discontinuo. È cresciuto a Vila Belmiro, la cattedrale di Pelé. Ha giocato con Neymar e ha vinto una Coppa Libertadores. La Lazio ha avuto due meriti: l’ha scoperto in Brasile, a vent’anni, e gli ha regalato una seconda vita sportiva nel 2021, dopo le deludenti avventure nel West Ham di David Moyes e nel Porto di Sergio Conceição. Una ragione in più per ritenere che Lotito e Fabiani non vogliano correre il pericolo di salutarlo da svincolato alla fine di giugno: la trattativa per il contratto è ferma e la Juve ha cominciato a informarsi.