Palla rubata da Frattesi sulla trequarti, ripartenza secca con palla a Raspadori e poi il gol di Kean, che Spalletti dall’inizio della gara voleva più coinvolto nella manovra o lo chiedeva urlando agli azzurri: alla fine è stato accontentato. Anche se sul piano del gioco non è stata la stessa Italia del Parco dei Principi, ha avuto dei meriti pure in questa partita. Il primo: Israele è inferiore tecnicamente alla nostra squadra e gli azzurri lo hanno dimostrato in modo chiaro, almeno in certi momenti. Eravamo più dotati e abbiamo vinto, anche se con un solo gol di vantaggio, quando i cambi avevano stravolto la Nazionale. Il secondo: il modo di essere squadra, con lo spirito giusto. Quando dovevamo difenderci lo abbiamo fatto tutti insieme, così come quando stavamo cercando di iniziare la nostra lenta manovra nel primo tempo. Il terzo: il modulo. Adesso è chiaro, staccarsi dal 3-5-1-1 sarebbe una sciocchezza visto dove ci ha portato. In realtà si tratta di tre difensori e sei centrocampisti, visto che Pellegrini a Parigi e Raspadori a Budapest erano più vicini al trio di centrocampo che ai due centravanti. Peccato per il gol preso al 90', un po’ disturba. Ora però vediamo il futuro con una tinta meno grigia, possiamo pensare a una prima fase di ricostruzione. Senza esaltarci perché non è proprio il caso, ma il lavoro di Spalletti sta finalmente dando dei frutti che, fra due anni, potremmo cogliere.