L’ex calciatore e allenatore Aldo Agroppi è morto ieri mattina, all’età di 80 anni, all’ospedale di Piombino (Livorno), dove era stato ricoverato da qualche giorno per una polmonite. Da calciatore aveva debuttato nelle giovanili della squadra della propria città, per poi indossare anche le maglie di Torino e Genoa, Ternana, Potenza e Perugia. Per lui cinque presenze in Nazionale. Poi la lunga carriera da allenatore, chiusa nella Fiorentina nel 1993, al termine della quale divenne opinionista televisivo.
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L'ultima volta che ci siamo sentiti, qualche mese fa, è stato per la partita di un calcio che Aldo amava ancora, campionato di dilettanti, categoria Promozione, a Piombino giocava la squadra del mio paese, il Montelupo. Avevamo vinto 4-0. Allo stadio di Piombino c’era Agroppi in tribuna. Così lo chiamai: "Aldo, vi abbiamo purgato bene bene, avete preso quattro pere". E lui, nel suo livornese: "De’, avete una bella squadrettina". Poi ci siamo messi a chiacchierare di calcio e della sua Fiorentina. Gli chiesi come stava: "Come vuoi che stia? Aspetto di mori’...". Cercai di metterla sulla battuta: "‘Un di’ bischerate, sei un ragazzino". "Ma che ragazzino, s’invecchia. Lo sai che la Nadia ‘un ci vede quasi più?". La Nadia, una grande donna, la sua compagna da sempre, paziente, dolce, serena, Aldo non poteva stare senza di lei. E mentre il cuore, ascoltando le sue parole, mi diventava sempre più piccolo, mi sono ricordato di una delle prime interviste a casa sua sulla collina di Salivoli, poco prima di entrare a Piombino.
L'amore di Agroppi per il Toro
Era il febbraio dell’‘84, Agroppi aveva lasciato d’improvviso il Padova, per tristezza, per nostalgia, per malinconia, per i primi accenni di una depressione che non l’ha mai abbandonato. «Sono sposato dal ‘67 e ho sempre portato con me la mia famiglia nelle città dove lavoravo, a Torino, a Perugia, sempre con me. A Padova ho pensato che ce l’avrei fatta senza di loro, sarei tornato a casa per le vacanze di Natale, quelle di Pasqua e tutti i lunedì. Invece no, non ho resistito. Vivevo in un albergo in periferia e quando aprivo la finestra mi entrava la nebbia in camera». Era questo Aldo, un ragazzo di un’umanità infinita, schietto, vero, puro, diceva tutto quello che pensava e a volte anche di più. Lo chiamavano "cotenna", che in toscano significa avere la pelle dura. Lo chiamava così Lido Vieri, suo grande amico, uno del clan di Piombino che sfornava in quegli anni uomini di calcio: Aldo, Lido, Nedo Sonetti, Claudio Nassi, l’unico a preferire la scrivania alla panchina. Salivoli era la sua tana. Apriva la finestra e non entrava la nebbia, ma un orizzonte fantastico, si scorgevano l’isola d’Elba, l’Argentario, Giannutri, Palmaiola, l’arcipelago toscano si toccava tutto con una mano. In taverna conservava una collezione incredibile di vinili, 33 giri, della musica anni Sessanta. Erano migliaia di dischi. Noi giornalisti di quell’epoca irripetibile potevamo andare a trovarlo senza preavviso, un piatto di pasta era sempre pronto e un’intervista pure. Non era del Toro, era il Toro. Raccontava che da ragazzino tifava Juve, poi entrò al Filadelfia, vide le maglie granata, la carlinga dell’aereo distrutto a Superga e divenne granata per tutta la vita. Granata e anti-juventino, per questo la sua seconda squadra del cuore è stata la Fiorentina.