Addio Aldo Agroppi, anima di un calcio antico

Ex calciatore ed ex tecnico con il Toro e la Fiorentina nel cuore, è morto nella sua Piombino all'età di 80 anni: il ricordo
Alberto Polverosi

L’ex calciatore e allenatore Aldo Agroppi è morto ieri mattina, all’età di 80 anni, all’ospedale di Piombino (Livorno), dove era stato ricoverato da qualche giorno per una polmonite. Da calciatore aveva debuttato nelle giovanili della squadra della propria città, per poi indossare anche le maglie di Torino e Genoa, Ternana, Potenza e Perugia. Per lui cinque presenze in Nazionale. Poi la lunga carriera da allenatore, chiusa nella Fiorentina nel 1993, al termine della quale divenne opinionista televisivo.

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L'ultima volta che ci siamo sentiti, qualche mese fa, è stato per la partita di un calcio che Aldo amava ancora, campionato di dilettanti, categoria Promozione, a Piombino giocava la squadra del mio paese, il Montelupo. Avevamo vinto 4-0. Allo stadio di Piombino c’era Agroppi in tribuna. Così lo chiamai: "Aldo, vi abbiamo purgato bene bene, avete preso quattro pere". E lui, nel suo livornese: "De’, avete una bella squadrettina". Poi ci siamo messi a chiacchierare di calcio e della sua Fiorentina. Gli chiesi come stava: "Come vuoi che stia? Aspetto di mori’...". Cercai di metterla sulla battuta: "‘Un di’ bischerate, sei un ragazzino". "Ma che ragazzino, s’invecchia. Lo sai che la Nadia ‘un ci vede quasi più?". La Nadia, una grande donna, la sua compagna da sempre, paziente, dolce, serena, Aldo non poteva stare senza di lei. E mentre il cuore, ascoltando le sue parole, mi diventava sempre più piccolo, mi sono ricordato di una delle prime interviste a casa sua sulla collina di Salivoli, poco prima di entrare a Piombino.

L'amore di Agroppi per il Toro

Era il febbraio dell’‘84, Agroppi aveva lasciato d’improvviso il Padova, per tristezza, per nostalgia, per malinconia, per i primi accenni di una depressione che non l’ha mai abbandonato. «Sono sposato dal ‘67 e ho sempre portato con me la mia famiglia nelle città dove lavoravo, a Torino, a Perugia, sempre con me. A Padova ho pensato che ce l’avrei fatta senza di loro, sarei tornato a casa per le vacanze di Natale, quelle di Pasqua e tutti i lunedì. Invece no, non ho resistito. Vivevo in un albergo in periferia e quando aprivo la finestra mi entrava la nebbia in camera». Era questo Aldo, un ragazzo di un’umanità infinita, schietto, vero, puro, diceva tutto quello che pensava e a volte anche di più. Lo chiamavano "cotenna", che in toscano significa avere la pelle dura. Lo chiamava così Lido Vieri, suo grande amico, uno del clan di Piombino che sfornava in quegli anni uomini di calcio: Aldo, Lido, Nedo Sonetti, Claudio Nassi, l’unico a preferire la scrivania alla panchina. Salivoli era la sua tana. Apriva la finestra e non entrava la nebbia, ma un orizzonte fantastico, si scorgevano l’isola d’Elba, l’Argentario, Giannutri, Palmaiola, l’arcipelago toscano si toccava tutto con una mano. In taverna conservava una collezione incredibile di vinili, 33 giri, della musica anni Sessanta. Erano migliaia di dischi. Noi giornalisti di quell’epoca irripetibile potevamo andare a trovarlo senza preavviso, un piatto di pasta era sempre pronto e un’intervista pure. Non era del Toro, era il Toro. Raccontava che da ragazzino tifava Juve, poi entrò al Filadelfia, vide le maglie granata, la carlinga dell’aereo distrutto a Superga e divenne granata per tutta la vita. Granata e anti-juventino, per questo la sua seconda squadra del cuore è stata la Fiorentina.


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L'esordio in A e la morte di Gigi Meroni

Aveva iniziato a giocare nei ragazzini del Piombino dove incontrò Ferruccio Valcareggi, che a quei tempi, siamo nel ‘54, allenava la prima squadra. Fu un incontro che ebbe un bel seguito per Aldo: in Nazionale ce lo portò proprio Valcareggi nel ‘72, per cinque partite. Entrò nel settore giovanile del Torino nel ‘61 e ogni anno il Toro lo mandava in prestito da qualche parte, prima al Genoa, poi alla Ternana e infine al Potenza. Nell’estate del ‘67, stufo di girare la penisola in lungo e in largo, si presentò nell’ufficio di Edmondo Fabbri, allenatore del Torino, e gli disse: "Ma perché non mi porta in ritiro e mi dà finalmente un’occasione?". Lo convinse. Aldo andò in ritiro e Fabbri lo fece giocare. Il debutto in una data purtroppo tragica per la storia del Toro: il 15 ottobre del ‘67, Torino-Sampdoria 4-2, quella sera morì Gigi Meroni. Il suo mito era Giorgio Ferrini: avevano la stessa scorza dura, la stessa anima Toro. In granata Aldo ha vinto due volte la Coppa Italia, ma ha perso l’occasione più grande. Nell’estate del ‘75 Pianelli decise il cambiamento di rotta, aprì ai giovani e Aldo venne ceduto al Perugia per far posto a Patrizio Sala. Quell’anno il Toro vinse lo scudetto e per lui è sempre stato un grande rimpianto. A Perugia cominciò ad allenare la Primavera, poi andò a Pescara e a Pisa con la promozione in Serie A, ancora Perugia e nell’‘85 a Firenze. Qui lo portò il suo amico Nassi, all’epoca ds del club dei Pontello.

La panchina della Fiorentina e la lite con Boniperti

È stato il punto più alto della sua carriera con la qualificazione alla Coppa Uefa. Aldo aveva una squadra che gli somigliava in tutto e per tutto, gente vera, di carattere, da Giovanni Galli a Passarella, da Lele Oriali a Contratto, da Gentile a Pin, ai giovani Gelsi, Berti e Roberto Baggio, che debuttò solo in Coppa Italia. "De’ Nicola, hai i piedi a banana", diceva a Berti, ma quel pomeriggio del 6 aprile ‘86, quando Nicola segnò al 90’ il gol del 2-0 contro la Juve, quei piedi erano diventati d’oro. Aldo schizzò in campo saltando come un grillo, tanto da far stizzire Boniperti. Ne nacque una polemica, Agroppi scrisse anche una lettera (ma non di scuse...) al presidente della Juve. All’ultima di campionato, la Fiorentina giocò a Pisa. Per avere ancora una piccola speranza di salvezza, la squadra di Anconetani doveva vincere per forza, così come alla Fiorentina servivano i due punti entrare in Coppa Uefa. Segnò prima Ciro Muro per il Pisa, poi la doppietta di Passarella su rigore e punizione, mentre i cancelli della curva dei tifosi pisani erano sul punto di crollare.


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Dal campo alla tv: le verità scomode di Agroppi

Ma quell’anno non fu tutto facile per Agroppi. I tifosi più caldi sostenevano che mancasse di rispetto ad Antognoni, ancora alle prese con l’ultimo infortunio. Una mattina, ai campini dove si allenava la Fiorentina, venne aggredito da quattro o cinque teppisti, pugni e pedate, lo salvò Passarella. Andò al Como, all’Ascoli, tornò alla Fiorentina nell’anno disgraziato della retrocessione del ‘93. Prese la squadra dalle mani di Radice, debuttò a Udine incassando un 4-0 con tripletta di Branca. Il primo gol dopo una manciata di secondi. Si presentò in conferenza stampa ed esordì così: "Ragazzi, io ne ho presi solo tre, il primo gol era ancora di Radice". Lasciò prima della retrocessione, aprì un ristorante a Firenze proprio davanti al Franchi, il "Fuorigioco", Eriksson era un suo cliente fisso. Un giorno andammo in carcere insieme, a Porto Azzurro, isola d’Elba. Lui allenava per divertimento una squadra di amatori di Piombino che incontrava la squadra dei detenuti. Mi dette una maglia e mi fece giocare l’ultimo minuto. "Era meglio se ti lasciavo fuori". Aveva ragione. Divenne un commentatore della Rai, entrò in polemica con Lippi, ma alla Domenica Sportiva tutti aspettavano le sue verità, scomode, come il suo personaggio. Aldo, invece, era una pasta d’uomo.


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L’ex calciatore e allenatore Aldo Agroppi è morto ieri mattina, all’età di 80 anni, all’ospedale di Piombino (Livorno), dove era stato ricoverato da qualche giorno per una polmonite. Da calciatore aveva debuttato nelle giovanili della squadra della propria città, per poi indossare anche le maglie di Torino e Genoa, Ternana, Potenza e Perugia. Per lui cinque presenze in Nazionale. Poi la lunga carriera da allenatore, chiusa nella Fiorentina nel 1993, al termine della quale divenne opinionista televisivo.

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L'ultima volta che ci siamo sentiti, qualche mese fa, è stato per la partita di un calcio che Aldo amava ancora, campionato di dilettanti, categoria Promozione, a Piombino giocava la squadra del mio paese, il Montelupo. Avevamo vinto 4-0. Allo stadio di Piombino c’era Agroppi in tribuna. Così lo chiamai: "Aldo, vi abbiamo purgato bene bene, avete preso quattro pere". E lui, nel suo livornese: "De’, avete una bella squadrettina". Poi ci siamo messi a chiacchierare di calcio e della sua Fiorentina. Gli chiesi come stava: "Come vuoi che stia? Aspetto di mori’...". Cercai di metterla sulla battuta: "‘Un di’ bischerate, sei un ragazzino". "Ma che ragazzino, s’invecchia. Lo sai che la Nadia ‘un ci vede quasi più?". La Nadia, una grande donna, la sua compagna da sempre, paziente, dolce, serena, Aldo non poteva stare senza di lei. E mentre il cuore, ascoltando le sue parole, mi diventava sempre più piccolo, mi sono ricordato di una delle prime interviste a casa sua sulla collina di Salivoli, poco prima di entrare a Piombino.

L'amore di Agroppi per il Toro

Era il febbraio dell’‘84, Agroppi aveva lasciato d’improvviso il Padova, per tristezza, per nostalgia, per malinconia, per i primi accenni di una depressione che non l’ha mai abbandonato. «Sono sposato dal ‘67 e ho sempre portato con me la mia famiglia nelle città dove lavoravo, a Torino, a Perugia, sempre con me. A Padova ho pensato che ce l’avrei fatta senza di loro, sarei tornato a casa per le vacanze di Natale, quelle di Pasqua e tutti i lunedì. Invece no, non ho resistito. Vivevo in un albergo in periferia e quando aprivo la finestra mi entrava la nebbia in camera». Era questo Aldo, un ragazzo di un’umanità infinita, schietto, vero, puro, diceva tutto quello che pensava e a volte anche di più. Lo chiamavano "cotenna", che in toscano significa avere la pelle dura. Lo chiamava così Lido Vieri, suo grande amico, uno del clan di Piombino che sfornava in quegli anni uomini di calcio: Aldo, Lido, Nedo Sonetti, Claudio Nassi, l’unico a preferire la scrivania alla panchina. Salivoli era la sua tana. Apriva la finestra e non entrava la nebbia, ma un orizzonte fantastico, si scorgevano l’isola d’Elba, l’Argentario, Giannutri, Palmaiola, l’arcipelago toscano si toccava tutto con una mano. In taverna conservava una collezione incredibile di vinili, 33 giri, della musica anni Sessanta. Erano migliaia di dischi. Noi giornalisti di quell’epoca irripetibile potevamo andare a trovarlo senza preavviso, un piatto di pasta era sempre pronto e un’intervista pure. Non era del Toro, era il Toro. Raccontava che da ragazzino tifava Juve, poi entrò al Filadelfia, vide le maglie granata, la carlinga dell’aereo distrutto a Superga e divenne granata per tutta la vita. Granata e anti-juventino, per questo la sua seconda squadra del cuore è stata la Fiorentina.


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