Lei ha lavorato in tanti club italiani con grandi dirigenti e presidenti mitici o complicati. Investire sui giovani è sempre la chiave di volta per rilanciare il nostro calcio?
«Lo scouting è un modo di dire. Scegliere i calciatori funzionali al progetto deve prevedere visioni dirette mentre l’algoritmo deve essere inteso come supporto e non come soluzione. Cito Sartori e Marchetti come simboli del mio pensiero. I giovani devono avere la massima attenzione per un rilancio del nostro movimento. Ma va riconsiderato il concetto di formazione di base. Il talento va esaltato per ridare gioia al gioco del calcio. L’appiattimento annoia i ragazzini e non aiuta i tecnici delle prime squadre che vedono arrivare giocatori fotocopia annichiliti dalla tattica».
Si aspettava la crisi del Napoli dopo lo scudetto e come valuta l’esonero di Mourinho?
«La vittoria dello scudetto ha finalmente dato gioia ai napoletani ma ha diviso dirigenza, calciatori e staff tecnico sui meriti effettivi di tale successo. Tuttavia, confermarsi è sempre più difficile che vincere. Non conosco le reali intenzioni dei Friedkin sulla panchina della Roma. Considerare De Rossi come traghettatore può risultare di difficile gestione. Pensavo che Mourinho avesse potuto terminare la stagione. Evidentemente s’è rotto qualcosa».
La Juventus che deve puntare sui giovani e senza più top player è un segno dei tempi?
«La fine di un ciclo e il tentativo di rifondare tutto dal basso con intelligenza».
L’Inter di Simone Inzaghi è la più forte?
«Certo. I diversi impegni rispetto alla Juve devono però essere gestiti con accortezza. Lotta scudetto destinata a rimanere aperta».
Sono sempre di più le proprietà straniere e i fondi nel nostro calcio, non ci sono più i presidenti padri-padroni di una volta. Non è un rischio perdere la propria identità, con un calcio che si scolla dai territori e sempre più fatto solo di soldi con scarsi ricavi e sempre più debiti?
«Un mutamento epocale. Il proliferare delle proprietà straniere può portare a una nuova maggioranza in Lega dove si può pensare a una diversa interpretazione del nostro modo di vivere il calcio con più spettacolarizzazione. Non credo lo ameremmo, ma il rischio esiste».
L’impresa più bella che ha compiuto da dirigente Perinetti e di cui è orgoglioso?
«Per indole e temperamento ritengo sempre possa essere la prossima l’impresa più esaltante. Spero di viverne altre e in tempi necessariamente brevi data l’ età ormai consistente… ».
Oggi 73 anni, auguri e lunga vita, direttore Perinetti. E in bocca al lupo!