La sua America è stata sempre l’Italia. E anche se sono passati più di 20 anni certe scelte non si dimenticano, come non si dimentica lo scarso feeling con il proprio Paese di nascita, quanto meno nell’universo delle schiacciate. PriKeba Phipps, per tutti Keba non s’è mai nascosta dietro un dito. Lei che veniva dai sobborghi di Los Angeles (Lakewood, classe 1969), alle spalle una storia familiare delicata, con la mamma capace di crescere lei e le sue due sorelle da sola. Così, salta subito agli occhi la discrasia tra il palmares italiano - 8 scudetti (4 a Matera, 3 a Bergamo 1 a Modena), 5 Coppe Italia, 1 Supercoppa europea e 1 Italiana, 3 Coppe dei Campioni - e quello con la Nazionale Usa - zero ori, solo un argento Mondiale e una partecipazione olimpica, quella del 1988 a Seul a soli 19 anni. Ventiquattro mesi dopo era già in Italia, ad Ancona. In mezzo una positività alla marijuana e una lettera di scuse. «Non mi chiamavano più in Nazionale, poi ho saputo che era stata una scelta di Doug Beal (uno dei santoni del volley mondiale ndr). Cercavo un club dove giocare ma il mio procuratore di allora non mi offriva opportunità. Un giorno ricevo una telefonata dall’Italia: era April Chapple (una ex giocatrice anche lei californiana che in Italia ha giocato a Vicenza e Fidenza, ndr) che dice di avermi trovato una squadra: Ancona. Una settimana dopo arrivo in Italia. Non conosco una parola della vostra lingua, era la prima volta che andavo fuori Los Angeles, avevo 21 anni. Ho pianto tanto, tutti i giorni per almeno un mese. Poi sono diventata amica di tutti, ho scoperto il vostro Paese. E me ne sono innamorata».
Quanto le manca l’Italia?
«Tantissimo, mi mancano le persone, gli amici, il cibo, la bellezza delle vostre città, l’atmosfera che si respira nei palazzetti dove si gioca a pallavolo. Tutto».
Non a caso nel suo profilo di whatsapp c’è una foto di Matera illuminata di notte...
«Matera è stata un sogno bellissimo, un luogo che ho nel cuore, dove ho vissuto tra i ricordi più belli che certo sono le vittorie, i quattro scudetti, la Coppa Campioni ma anche il rapporto intenso con ogni singola persona. E la Matera di oggi è ancora più bella di quella che ho vissuto io. Pensare che la prima volta che ci ho giocato contro quando ero ancora ad Ancona le ho anche eliminate... E poi ci sono state Bergamo, Napoli, Modena, Jesi: tutti ricordi fantastici. Come dico sempre, quando me lo chiedono, in Italia sono stata la regina sul suo trono».
Italia oro Mondiale in finale con gli Usa nel 2002, azzurre oro olimpico 22 anni dopo sempre in finale con gli Usa: una coincidenza?
«Non penso, al Mondiale, dove partecipai solo perché convinta da Tara Cross, fummo limitate dal mio infortunio nell’ultimo allenamento (le capitò anche in Coppa Campioni con Bergamo prima della finale con le russe dell’Urallotchka nel 1997, ma lì recuperò e vinse, ndr) che mi impedì di giocare la sfida con le azzurre. Ma la realtà è che la pallavolo femminile italiana è avanti, molto avanti rispetto agli Usa. A cominciare dall’insegnamento per non parlare del campionato e dell’organizzazione».
Pensa che la nascita della nuova Lega professionistica LOVB che ha appena cominciato la stagione e vede coinvolti allenatori e giocatrici italiane (Barbolini, Bonitta Bechis ecc), possa aiutare un movimento che comunque a livello di Nazionale ha ottenuto grandi risultati?
«Intanto, un titolo Mondiale e uno olimpico nella storia non sono tanti per un Paese come l’America. Ma non è questo il punto. Penso che il tentativo della LOVB sia importante, ma non so quanto riuscirà a incidere sulla creazione di un autentico movimento che finora è stato sempre limitato ai college. Da quando sono tornata in America non ho mai visto persone, tifosi andare a vedere in massa una partita di pallavolo. È una questione culturale. Penso che la nuova Lega farà sicuramente crescere l’interesse per la pallavolo ma ci vorranno anni di investimenti per portarla a livelli di quella italiana che resta il migliore movimento mondiale. Sarà un business importante ma il problema è la base, come lavorare sulle ragazze, come migliorarle tecnicamente. Che poi è il lavoro che porto avanti da anni con la mia scuola, il Team Keba».
Che ora, guarda caso, è confluita in una Academy legata all’Italia.
«Sì, da Chicago dove vivevo e lavoravo, sono tornata in California per collaborare con l’Academy Volleyball di Daniele Desiderio (catanese, ex opposto di Treviso e di mezza A1 ndr). Il luogo e le persone giuste dove impostare un lavoro in prospettiva, per far crescere le ragazze dal punto di vista tecnico, partendo dai fondamentali. Ecco qui in America non vedo tanti allenatori che lavorano in questa direzione, ma solo in quella del business. Che poi è un problema un po’ di tutta la pallavolo. Senza per questo generalizzare, penso che molti allenatori non facciano fino in fondo il loro lavoro. Da voi ho avuto due grandi maestri come Giorgio Barbieri e Atanas Malinov e seguo da lontano il grande lavoro di Sabrina Bertini e quello di Volleyrò».
Ma lei ci tornerebbe in Italia?
«Di corsa, se qualcuno mi proponesse un progetto serio. Ma questo alla fine dipenderà tutto da Dio, da Geova di cui sono diventata Testimone in Italia. È lui che guida le nostre vite e tutto quello che ho avuto lo devo a lui e alla mia volontà, la mia determinazione di seguire la strada che mi è stata indicata».
Unica, come sempre: Keba.