L’anno prossimo non si assisterà più ai derby obbligati nelle semifinali di Champions League: nella maschile a Cracovia la Lube contro Trento, nella femminile che nel prossimo week end si disputa al PalaGeorge di Montichiari, lo scontro turco tra due squadre di Istanbul, Vakifbank contro Fenerbahce. La nuova formula della Champions League varata dalla Cev senza preannunciarla, come da pessima abitudine, ha tolto le assurde e antisportive forche caudine del confronto obbligato tra club dello stesso Paese, per evitare una finale monotematica, verificatasi peraltro solo sei volte nella maschile e sette nella femminile.
L’obiettivo della riforma era quello di far giocare meno? Sembra un obiettivo mancato. Si volevano evitare partite troppo squilibrate? E allora perchè condannare ai turni preliminari le ultime squadre dei Paesi leader nel ranking, stabilito dalla stessa Cev? La riforma è chiaramente ispirata al calcio. Sarebbe bastato copiare. Ma tutto. Formula, calcolo dei set per decidere le qualificazioni in caso di una vittoria per parte. E soprattutto, la bestialità principale, ovvero non consentire che una squadra possa comprarsi l’ammissione tra le prime quattro della manifestazione, organizzando la final four.
Cavalchiamo il parallelo con la Champions del calcio. La peggiore del contingente italiano, ad esempio, deve si affrontare il preliminare, ma soltanto all’ultimo turno, non dai primi, che coinvolgono i Paesi più piccoli e meno qualificati. Per vincere la Champions del calcio si giocano 13 partite (16 nel caso si arrivi dal primo turno preliminare, ma realisticamente sono al massimo 14). Per vincere la Champions della pallavolo si giocheranno da un minimo di 12 gare ad un massimo di 18, se arriva in fondo la terza italiana qualificata. Sono meno le partecipanti alla Champions femminile ma la sostanza non cambia: ulteriore intasamento delle date in una stagione che non è certo lunga come quella del calcio, che vede i calendari ultracompressi e il superlavoro di pallavolisti e pallavoliste, sempre più in viaggio, sempre meno in palestra per gli allenamenti. E non è colpa della Federazione. Tutto questo a fronte di un pubblico che non sembra apprezzare troppo. Urge poi (compito delle Leghe) stabilire in fretta i criteri con cui verrà stilato il ranking dei club italiani: vincitrice scudetto al numero 1. Numeri 2 e 3 (maschili, le donne hanno solo due club) saranno la finalista sconfitta e la vincitrice della regular season. Ma in che ordine?
In definitiva la Cev dimostra una volta di più di badare più alla forma che alla sostanza, e resta molto distante sia dalla realtà dei club (costi, ricavi, spettatori, visibilità, calendari intasati) che da quella del volley stesso. Sempre più spaccato nelle sue componenti: le società di alto livello, relativamente allo sport in questione, e i piccoli club a dimensione locale o quasi. Non stupisce in fondo perchè in seno alla Cev non ha peso specifico la componente più attiva (giocatori, tecnici, dirigenti di livello) che meglio conosce la realtà vera di questo sport, che raccoglie consensi e attenzione in misura diversa nei Paesi europei (e non proporzionalmente al ranking dei club).