Certo non è signorile dirlo a loro, ma questo cielo di stelle cadenti è persino consolante: anche loro sono umani, anche loro sono scoppiati. D’altra parte, così diciamo di noi nelle loro condizioni. Magari se ti chiami Djokovic possono tutti pensare che non sei eterno, che presto o tardi dovrai pure accettare l’idea di avviarti ai giardinetti. Ma se ti chiami Alcaraz, fenomeno nel fiore degli anni, è difficile trovare scorciatoie veloci. Evidente: c’è qualcosa di più e di peggio. Forse, senza contattare personal-trainer e mental-coach, basta chiamarla stanchezza.
Effettivamente è un’atmosfera nuova e stravagante, questa del tennis. L’abbiamo sempre visto come lo sport delle macchine da guerra, gente ineffabile e indistruttibile che può giocare ovunque, a tutte le ore, la sera a Tokyo e il giorno dopo a Parigi, qualche minuto di sonno in aereo o in ascensore, nessun problema col jet-lag, cambio di letto e di ristorante tutti i giorni, mai una sosta stagionale tipo sci, sempre loro, sempre gli stessi, sempre in pista e sempre freschi all’acqua di colonia. Più le pubbliche relazioni, più le interviste e gli spot pubblicitari, più i docufilm, più quando capita persino il Festival di Sanremo (Djoko con Fiorello).
Sempre a tutta, sempre chiamati a essere numeri uno, senza attenuanti e senza pietà. Ma chi sono, ma come fanno. Senza dimenticare che tra una cosa e l’altra esistono pure gli allenamenti, tanto per essere precisi. Così lungo una carriera per niente breve, anni e anni uno di seguito all’altro, certo guadagnando cifre spaventose, ma a che ritmo. Poi arrivano gli Us Open e i big vanno fuori. Affiorano spiegazioni da casalinga alle dieci di sera. Viene in mente Forrest Gump, mi sento un po’ stanchino.
Non è da oggi che tanti giocatori parlano di un limite ormai oltrepassato, troppe partite e orari folli. Per la verità è un lamento corale, si lamentano ciclisti e calciatori, piloti e nuotatori, i calendari sono più intasati dei caselli autostradali e non riportano più giorni festivi. Ma la deriva del grande sport è questa, e non c’è verso di tornare indietro. È il futuro che abbiamo voluto. Serve il grande show per il grande business, alla mangiatoia devono mangiare tutti, poche storie e pedalare. E allora sai che c’è? C’è che bisognerà riaggiustare le nostre narrazioni. Anche i superuomini del tennis, alla lunga, si umanizzeranno un pelo. E noi, che li pretendiamo sempre divini, dovremo aggiungere una grossa novità: nel mondo dei perfetti invincibili, si può anche perdere.