L'avvocato Grassani sul caso Sinner: "C'era il rischio di una condanna esemplare"

L'intervista all'esperto di diritto sportivo: "È stata una scelta di prudenza e di buon senso. Non ha voluto correre rischi"
Giorgio Marota
4 min

Sinner non aveva alcuna intenzione di barare e non ha ottenuto alcun beneficio: lo ha confermato anche la Wada in una nota che sembra contraddire la squalifica di tre mesi. Eppure, Jannik è sceso a patti con i suoi accusatori. «Non ha voluto correre rischi», è il pensiero dell’avvocato Mattia Grassani, esperto di diritto sportivo. «È stata una scelta di prudenza e di buon senso».  

Secondo lei c’era il rischio di una squalifica pesante? 
«Come me, in tanti credevano all’assoluta estraneità di Sinner ai fatti contestati. Però con il Clostebol abbiamo avuto sia proscioglimenti, come quello del calciatore Palomino, sia condanne esemplari. Diciamo che i tre mesi, in periodi senza grandi slam, erano il male minore. Certamente la strategia legale ha un po’ sparigliato le carte rispetto alle previsioni». 

Patteggiare non significa riconoscere una colpevolezza, giusto? 
«Esatto. È un istituto introdotto nell’ordinamento sportivo ormai da vent’anni in cui vincono e perdono un po’ tutti. I motivi possono essere molteplici, inclusa la volontà di chiudere in fretta una storia che può danneggiare l’atleta ben oltre il lato sportivo». 

Crede che la Wada eserciti un potere esagerato rispetto al ruolo che ha? 
«Le metodiche sono sicuramente molto invasive, anche ai limiti di tanti diritti fondamentali dell’individuo come la libertà di movimento, quella di programmazione dei propri spostamenti, fino alla privacy. Ma non credo possano definirsi esagerate».  

Nel caso di Sinner la Wada ha fatto ricorso dopo una sentenza di assoluzione. 
«Gli sportivi aderiscono a un sistema di regole e accettano anche una parziale compressione di certi diritti. Certamente la Wada ha sempre avuto un approccio accusatorio, a volte quasi persecutorio, ma sempre a garanzia del sistema sportivo mondiale». 

Lo stop di tre mesi non rischia di essere una macchia sulla carriera? 
«Questo non sta a me dirlo, certamente nel percorso di Sinner resta una squalifica irrogata».  

Dal 2027 la Wada cambierà le regole proprio per evitare altri “casi Sinner”. Ci sarà maggiore flessibilità sul doping involontario e sulle quantità infinitesimali. Molti si chiedono che senso abbia condannare un atleta sulla base di regole considerate obsolete pure da chi deve applicarle. 
«La partita di Sinner si doveva giustamente giocare con le regole in vigore nel momento in cui è stata rintracciata la positività. Le normative vengono preannunciate molto prima proprio per preparare tutti i protagonisti alla loro osservanza». 

In diversi casi si parla di “assunzione involontaria”. Qual è il confine che divide la condanna dall’assoluzione? 
«L’involontarietà è una prova che richiede uno standard di certezza quasi assoluto. In passato abbiamo assistito a situazioni tragicomiche: calciatori che dicevano di aver avuto rapporti intimi con compagne che avevano usato creme antinfiammatorie per la depilazione o tennisti che dicevano di aver baciato in discoteca sconosciute che avevano assunto cocaina. È un livello di difesa molto rischioso, perché anche un’assunzione non volontaria può determinare un’affermazione di responsabilità quando ci sono negligenza, trascuratezza, superficialità e poca professionalità. L’accordo Sinner-Wada insegna molto. Se il numero uno del mondo ha optato per questa soluzione significa che l’assunzione inconsapevole rimane uno strumento di difesa a doppio taglio e presenta un margine di non accoglimento importante». 


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