L’occasione perduta (e il favor rei)

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Ivan Zazzaroni
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Capisco Sinner: troppi interessi in ballo, oltre al più che naturale desiderio di recuperare in fretta la serenità perduta. Tuttavia al posto suo – con la forza e il fascino del personaggio mondiale e la potenza di una formidabile squadra di avvocati - sarei andato fino in fondo per tentare di demolire un’istituzione superata come la giustizia sportiva, che è un sistema feudale senza alcun fondamento giuridico: tende a autoconservarsi e, anziché affermarla, la giustizia, privilegia continuamente la propria centralità, svincolata da qualsiasi legittimazione. 

Tutti i “deferiti” (atleti, tecnici, dirigenti) sanno in partenza che l’unico risultato possibile è la squalifica, come se lo sport fosse frequentato da delinquenti che neppure a Bogotà nell’89. Nel caso di Sinner vige ovviamente il vecchio regolamento: non è difficile immaginare che alla Wada non sappiano cosa sia il favor rei, che è la base di qualsiasi ordinamento: se la nuova legge non prevede il reato, i benefici vanno a tutti.

Ripassino tricanino sul favor rei. Sembra di difficile comprensione, ma non lo è: “espressione latina con cui si indica, nel diritto penale sostanziale, il fondamento di istituti che escludono l’esistenza dell’illecito o che producono effetti più lievi rispetto a quelli che si verificherebbero altrimenti. Esemplificativi sono gli istituti del reato continuato (art. 81, co. 2, c.p.) e dell’efficacia retroattiva di una nuova legge penale più favorevole rispetto a quella previgente, ma entrata in vigore dopo la commissione del fatto di reato per cui si procede (art. 2, co. 2 e 4, c.p.). Nel diritto penale processuale il favor rei è accolto come un principio generale, traducibile nell’atteggiamento che privilegia l’imputato o il condannato, e rende possibile, in determinate si tuazioni, concedere maggiore rilievo all’interesse dell’imputato rispetto ad altri interessi emergenti nella dinamica processuale. Tale criterio caratterizza le norme inerenti la pronuncia di una sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato l’ha commesso, che il fatto costituisce reato, che il reato è stato commesso da persona imputabile (art. 530 c.p.p.); ovvero quelle che prescrivono determinate cause di non punibilità (art. 129 c.p.p.), o quelle per cui, nella deliberazione della sentenza, in caso di parità di voti, prevale l’opinione più favorevole all’imputato (art. 527 c.p.). Ai fini dell’applicabilità di questo principio si rileva che, dal punto di vista soggettivo, esso si riferisce al reo inteso come imputato e come condannato, mentre, per ciò che concerne l’aspetto oggettivo, deve identificarsi nella prevalente considerazione all’interesse dell’imputato. In tal senso parte della dottrina considera tale principio equivalente a quello del favor liberatis o del favor innocentiae”. Amen


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