Quando tra otto, dieci anni ci ritroveremo con una dozzina di piccole macchine da guerra mentalmente insuperabili dovremo ringraziare il ragazzo della Val Pusteria che nel 2024 si prese il mondo vincendo 7 titoli, disputando finali strepitose e concedendo pochissimi tie-break agli avversari che, ammirati, si fermavano a guardare. Faccio parte della generazione che ha visto giocare Pietrangeli - non dico Sirola - e Panatta, e Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli prima di Cané, Gaudenzi, Camporese e Seppi, e di Fognini, Berrettini, Musetti, Arnaldi, Cobolli, Sonego e Darderi; una generazione di appassionati che per decenni - anche leggendo Gianni Clerici il quale amava portarci in giro con il suo italiano e preziose conoscenze - si è divisa necessariamente sullo straniero.
Il collega Strazzi, che da tempo si è dato agli orologi di lusso, adorava Edberg e Wilander. Gene Gnocchi andava pazzo per Federer. Di Agassi abbiamo addirittura letto lo splendido Open. Nadal, Sampras, Becker, Lendl, Borg, McEnroe e Connors hanno marcato a lungo la differenza tra noi e il grande tennis, una distanza che non ci sembrava colmabile al punto da considerarlo uno sport per non-italiani. Poi è arrivato Jannik dai capelli rossi, il mondo ci è cambiato addosso e da fuori hanno cominciato a guardarci con occhi diversi e tanta, giustificata invidia e insomma non abbiamo ancora il Pogacar della racchetta, ma ci siamo quasi. Quel quasi è spagnolo, giovane e si chiama Alcaraz.
Immancabilmente dopo i primi successi di Jannik qualcuno si è messo a pesarlo in milioni di dollari: devo dire che la cosa mi interessa meno di zero. Bravo lui che guadagna tanto: se ogni vittoria fruttasse mille euro, la nostra vita cambierebbe pochissimo; la sua, tutto: lui non prenderebbe la residenza a Montecarlo e il prezzo non giustificherebbe i sacrifici, l’investimento sul talento e tutto quello che l’ha spinto a diventare unico. L’Alien italiano, l’ItAlien.
Jannik ci ferma, distrae, occupa tre, quattro ore delle nostre giornate, ci tiene svegli la notte. Ha cambiato la geografia del tennis, non solo la storia, e non ce lo porta via nessuno. Nemmeno la Wada.
PS. L’8 novembre 2019, dopo i primi tre match della Next Gen Atp Finals, alla vigilia della semifinale poi vinta con Kecmanovic, Clerici scrisse: “I colpi di Sinner sembrano esistere dai tempi dell’asilo. Forse potrebbe andare di più a rete, ma lo farà seguendo i suggerimenti di Riccardo Piatti (l’allenatore di allora, ndr) che non dimentichiamolo ha tenuto a battesimo Djokovic. Non si è mai visto insomma un tennista italiano più dotato, e lo posso affermare proprio io che ho incontrato su un campo del vecchio Parioli Nicola Pietrangeli sedicenne”. Game set match.