Sinner, la gioia misurata dei grandi

Leggi il commento sul numero uno del tennis mondiale in attesa della finale allo US Open
Massimiliano Gallo
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È sparito il sorriso. Che è il marchio di fabbrica dell’esultanza di Jannik Sinner. Sempre misurata. Solo una volta è andato oltre il sorriso: in Australia, a gennaio, quando vinse il suo primo Slam. Si gettò a terra per pochi secondi, nulla di eclatante. Mai un grido. Mai un’esultanza rabbiosa. Mai una dimostrazione di eccessiva foga. Solo un sorriso. Garbato. Gentile. Rasserenante. Quel sorriso che abbiamo visto quando condusse l’Italia alla conquista della Coppa Davis. O quando, sempre in Australia, sconfisse Djokovic in semifinale. Lì gli scappò quasi una risata. Per lui fu come andare sopra le righe. 

Agli Us Open quel sorriso liberatorio, distensivo, non si è visto. Né contro Medvedev battuto ai quarti. Né contro Draper l’altra sera in semifinale. Come se Jannik avesse un conto in sospeso. Come se avesse un’opera da completare prima di poter aprirsi alla gioia. E mettersi definitivamente alle spalle una brutta pagina. Non è tipo da togliersi i sassolini dalle scarpe, ci sorprenderebbe non poco se lo facesse. Ma il suo è l’atteggiamento di chi è rimasto amareggiato. Oltre che turbato. Ci è rimasto male. E ora è come se covasse qualcosa dentro. Stiamo parlando della storia del presunto doping che poi doping non era. Il suo stato d’animo è probabilmente legato alle reazioni di gran parte del circuito tennistico. «Ho imparato chi è mio amico e chi no, l’ho visto subito», ha detto in conferenza alla vigilia degli Us Open. Il riferimento non era tanto all’ormai ex tennista Kyrgios di cui probabilmente gli interessa ben poco. Gli avranno fatto più male le parole di Djokovic e Alcaraz. Che, ironia della sorte, a Flushing Meadows sono caduti uno dopo l’altro, battuti da tennisti ampiamente alla loro portata. Sinner è l'antitesi dell’esagerazione. Non sa cosa sia. E nemmeno vuole saperlo. È l’incarnazione del profilo basso.  
Ma anche le persone miti provano emozioni. Lui le declina con variazioni di sorriso. Che di volta in volta va interpretato. C’è il sorriso dell’imbarazzo. Il sorriso che nasconde parole che è meglio non dire: lo sfoderò ai tempi del pressing su di lui per portarlo al festival di Sanremo. E c’è il sorriso della felicità, del sentirsi sollevato. In campo, il massimo del trasporto è quel pugnetto che stringe quando mette a segno un punto. L’altra sera, dopo aver chiuso il match con Draper con una risposta di rovescio vincente, ha alzato le braccia, le labbra serrate. È ancora presto per sorridere. 


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