Rino Tommasi, cantore di tennis e boxe

Morto a 90 anni il giornalista che ha raccontato i grandi dello sport mondiale. Celebri le sue telecronache in coppia con Gianni Clerici
Rino Tommasi, cantore di tennis e boxe© LAPRESSE
Massimiliano Gallo
6 min

«Giornalismo sportivo, giornalismo di serie B». È il titolo di una straordinaria puntata di Fair Play trasmissione tv ideata e condotta da Rino Tommasi per Telepiù2 il primo canale tv tematico sportivo a pagamento. Ospiti: Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Gianni Clerici, Gian Paolo Ormezzano, Paolo Garimberti. Roba da Oscar della tv. Era il 1993. Vent’anni prima, nel 1974, Rino Tommasi era a bordo ring a Kinshasa per il match più importante della storia del pugilato: Muhammad Ali contro George Foreman. Ne scrisse per la Gazzetta dello Sport. Un articolo che andrebbe declamato nelle scuole di giornalismo. C’era tutto: la cronaca, le polemiche per una presunta combine, i commenti della moglie di Ali, dello stesso Ali, di Foreman e dell’angolo di Foreman. Oggi con tutte quelle notizie ci farebbero sei-sette titoli, per utilizzare il gergo giornalistico.  

 

 Era un cronista di razza. Un giornalista che pensava in termini universali. L’antitesi del provincialismo. Il tennis e il pugilato erano le sue passioni. Un gradino sotto a quella principale: il giornalismo. Vissuto e interpretato con i canoni di un tempo: la notizia prima di tutto e l’imparzialità anche a scapito del campanilismo. Difese, contro la linea del suo giornale (la Gazzetta), la partecipazione dell’Italia alla finale di Coppa Davis in Cile. Fu lui a coniare il termine “veronica” per la volée alta di rovescio capelli al vento che rese celebre Adriano Panatta. Eppure non risparmiava critiche, anche impietose, né a lui né ai suoi compagni. Oggi Paolo Bertolucci dissimula, ammorbidisce i toni. Non lo fece Adriano Panatta due anni e mezzo fa intervistato dal Manifesto: «Abbiamo avuto i giornalisti di tennis contro. Specialmente due soloni come Gianni Clerici e Rino Tommasi». Adriano gli diede del classista: «Non ci faceva piacere leggere cose dure scritte con disprezzo e classismo… Perché eravamo quattro ragazzi provenienti da famiglie modeste: figli di custodi, di ferrovieri, Zugarelli era cresciuto nella strada». Il clima era questo. 

 

Quando nel novembre 1979, al Caesar’s Palace di Las Vegas, Vito Antuofermo riuscì a difendere il titolo mondiale con un discusso pari contro Marvin Hagler, Tommasi non esitò a scrivere che l’italiano era stato «dominato fino all’umiliazione in linea tecnica». Che se il coraggio e l’orgoglio fossero bastati, Antuofermo avrebbe battuto qualsiasi avversario. Ma che almeno due giudici su tre erano stati molto benevoli con lui. Oggi, in tempo di dilagante campanilismo da social, sarebbe stato sommerso dagli insulti.  

 

Il suo giornalismo era: notizie, fatti, numeri. Le opinioni dopo. Forse. Ben separate dal resto. Preparatissimo. Documentatissimo. Sfornava cifre e statistiche con una naturalezza mostruosa considerando che internet non esisteva. È diventato celebre pur seguendo il tennis che all’epoca era lontanissimo dall’audience che garantisce Sinner. E per una tv a pagamento. Due barriere che non gli hanno impedito - in coppia con Gianni Clerici - di diventare popolare. Oseremmo dire cult. Venne alimentata una rivalità con le telecronache Rai di Giampiero Galeazzi (talvolta in coppia con Panatta). In realtà la rivalità non esisteva. Forse sul campo da tennis: gli archivi regalano la foto dei due al termine di un match a Perugia vinto da Bisteccone in tre set.  

 

Professionale sempre. Aborriva la sciatteria. Detestava l’approssimazione. Non si trova in giro un suo fuori onda sopra le righe. L’unica eccezione - ma non era fuori onda, era in diretta - fu quando chiamò cretino deficiente un signore che gli venne scaraventato addosso dagli organizzatori dell’incontro di boxe tra Tyson e Spinks.  

 

La sua carriera cambiò agli inizi degli anni Ottanta quando Silvio Berlusconi lo volle a Canale 5 e gli affidò la realizzazione della redazione sportiva. Berlusconi aveva capito che non si trattava del classico giornalista (da nota spese si sarebbe detto) ma di un professionista al passo coi tempi, sempre alla ricerca di novità. In passato era stato organizzatore di incontri di boxe. Fu Rino Tommasi a far acquistare a Canale 5 i diritti tv del Super Bowl, così come quelli degli incontri di Mike Tyson. Comprese subito che quel pugile tarchiato, sgraziato ma potentissimo, sarebbe diventato un fenomeno pugilistico e di costume.  

 

Era un grande appassionato di calcio, tifoso del Verona (dove è nato) e della Sambenedettese (dove è cresciuto) di cui conosceva a memoria le formazioni. Il suo modo di intendere il giornalismo mal si incastrava con la narrazione italiana del calcio. Si è battuto a lungo per introdurre i play-off in Serie A, rimanendo ovviamente inascoltato. Oggi avrebbe subito un processo in pubblica piazza per aver definito comico un incontro di pugilato femminile. Per fortuna, i suoi tempi erano altri. L’intervista a Kissinger è forse il servizio di cui era più orgoglioso. 


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