Jannik Sinner, macchina da tennis

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Jannik Sinner, macchina da tennis© EPA
Paolo De Laurentiis
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Daniil Medvdev ci ha messo poco a capire che aria tirava: vagava per il campo, borbottava con il suo angolo, non ne metteva dentro una, per dirla tutta non vedeva l’ora di andarsene. Sinner in realtà gli ha fatto un favore: il 6-1 6-2 in 69 minuti lo ha liberato da una partita che non è stata la sfida tra il numero 4 e il numero 3 del mondo ma un confronto impari tra il russo (onestamente proprio in giornata no) e Jannik che ormai vince prima di entrare in campo, numero uno del mondo di fatto anche senza la certificazione delle classifiche. Come un ciclista in fuga, i rivali stanno diventando sempre più piccoli alle sue spalle: Djokovic, numero 1, è in crisi tecnica e dopo la separazione da Ivanisevic pensa all’autogestione; Alcaraz, numero 2, non ha la continuità e la sicurezza di pochi mesi fa; Medvedev l’abbiamo visto ieri. E abbiamo visto anche Sinner, macchina da tennis, ingiocabile per tutti gli altri, costretti a fare cose che non sanno fare per cercare di metterlo in difficoltà. Magari partono a mille, come abbiamo visto nei primi turni proprio a Miami, si illudono di scappare via scippando un break. Ma è un fuoco di paglia, perché Jannik macina, costruisce la sua tela, distrugge le certezze dei rivali che dopo un set, un set e mezzo al massimo, non sono più in grado di reggere né mentalmente né fisicamente. Poi, quando serve, il nostro si trasforma e decide che contro Medvedev è lui che deve partire al massimo. Un’oretta di partita, più o meno come al circolo sotto casa, e tanti saluti. Domani, la sera di Pasqua, sapremo se Jannik, vincendo il torneo, scalerà un’altra posizione in classifica. Ma è un falso problema: da Melbourne c’è lui al centro del mondo, tutti gli altri si alternano nel ruolo di primi sfidanti a seconda del loro stato di forma. Sinner invece è sempre lì: costante, solido, una sola sconfitta nei quattro tornei giocati in questo 2024 che non lo ha turbato più di tanto. Una roccia (rossa) che impara quando perde e pure quando vince.


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