«L’Italia può vincere la Davis, ma possiamo ancora chiamarla così?». A chiederselo è Tonino Zugarelli, ex numero 24 del mondo e finalista agli Internazionali d’Italia. Uno che la Coppa Davis l’ha alzata nel 1976 in quella storica, emozionante, ma a tratti anche drammatica finale in Cile, ancora sotto la dittatura di Pinochet. Quella di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli rimane l’unica Insalatiera vinta dall’Italia. E a 46 anni di distanza, i libri di storia possono essere riscritti: «Questa squadra ha tutte le carte in regola per imporsi. E il tifo di Bologna farà la differenza», assicura Zugarelli nel giorno dell’esordio tricolore contro la Croazia, che aveva estromesso proprio gli azzurri ai quarti dell’edizione passata.
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Zugarelli, quella attuale è l’Italia più forte di tutti i tempi?
«Per come è impostata la Davis adesso non siamo competitivi, di più. Abbiamo due giocatori che valgono i primi 10 al mondo (Sinner e Berrettini, ndr) quindi se scendono in campo come sanno fare non ci saranno troppi problemi. Siamo i favoriti con questa formula».
E questa formula la convince?
«La nostra Coppa Davis negli anni 70 aveva un altro significato ed era concepita diversamente, ora è stato tutto stravolto. Dal punteggio (si giocava al meglio dei cinque set e per un anno intero, ndr) alle convocazioni, fino al fattore casalingo. Ora in 20 giorni si chiude».
Si è persa la storia della competizione?
«I giovani tennisti di oggi sono diversi dalla nostra generazione. Il nostro obiettivo primario della stagione era uno: giocare con la Nazionale. Parlo per me, era la cosa più importante».
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Una questione di attaccamento? Sta venendo a mancare?
«Io quando mettevo la maglia della Nazionale mi trasformavo. Avevo una motivazione e una forza interiore che non trovavo negli altri tornei, nemmeno a Parigi o a Wimbledon. Era la priorità, una ragione di vita. E’ ancora così? Voglio credere di sì trattandosi del tricolore».
L’affiatamento in un gruppo di Davis conta?
«Noi non avevamo una grande amicizia che ci legava. Ma tutti erano coscienti del proprio ruolo, delle gerarchie e del proprio spazio. Questo era il nostro segreto. Non so che rapporti abbiano all’interno del gruppo, se amichevoli o con qualche frizione. Da fuori mi sembrano abbastanza affiatati».
Volandri è l’uomo giusto per gestire il talento dei vari Sinner, Berrettini, Musetti e Fognini?
«Filippo è sempre stato considerato una persona in gamba e intelligente, farà bene. Ha dei purosangue lì, quindi con la sua esperienza può dare un supporto notevole. Conta il rendimento dei giocatori, lui deve essere bravo a creare una situazione armoniosa. Questo conta».
Volandri che ha preso il posto del suo ex compagno di squadra Barazzutti.
«Succede nello sport e nella vita. Anche a me ai tempi della Davis mi sostituirono arrivata una certa: dovevo accettarlo. Sicuramente a Corrado è dispiaciuto molto perché ora si poteva vincere qualcosa».
I gironi di Bologna. Un elemento in più per essere fiduciosi?
«Il pubblico inciderà. Giocare in casa dà un vantaggio notevole. Poi per le finali questo vantaggio lo avrà la Spagna, bisogna fare attenzione».
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Anche questo è cambiato.
«Esatto, ai miei tempi non accadeva. Noi eravamo molto nazionalisti, in casa non perdevamo mai. Abbiamo giocato quattro finali fuori dall’Italia, altrimenti ne avremmo vinte altre tre di Davis».
A proposito di Spagna. Hanno il pubblico e un certo Alcaraz.
«Sì, ma Sinner può battere chiunque senza problemi, non credo ci siano ancora dei dubbi. Lo ha dimostrato. Alcaraz ha vinto gli Us Open ed è numero uno. Jannik è stato a un punto dal batterlo e lo ha già sconfitto due volte. Quindi dove si vede questa differenza?»
E poi c’è Matteo.
«Di Berrettini invece si continua a dire che gioca male. Per fortuna. Allora sei un campione se arrivi nei primi otto giocando male. E se gioca bene? Cosa succede? La gente prima di parlare dovrebbe fermarsi a pensare. Siamo in buone mani».