BOLOGNA - L’espressione di Sinisa Mihajlovic dice tutto: «Palacio in panchina? E poi chi gioca, io?». A metà tra l’ironico e il beffardo, quel che resta di una battuta è una verità: i veterani contano, è il loro Bologna. E’ il Bologna di Palacio e di Danilo, quarta partita in dieci giorni, ritmo da mondiali, 75 anni in due.
Il lavoro
Classe di ferro, quella di Palacio e Danilo. L’argentino a febbraio compirà 39 anni. Ma la gamba c’è, sta bene, con lo staff di Mihajlovic ha trovato l’equilibrio giusto per i recuperi nei dopo-partita e con le tabelle personalizzate. Sono percorsi studiati per lui grazie ai dati, ai valori registrati di settimana in settimana. E’ vero: anche per Palacio i dolori cominciano a farsi sentire, la barba è grigia, le occhiaie allungate. Ma in campo corre ancora come il vento. Soprattutto i tempi di riposo e come si alternano alle sequenze di lavoro fanno la differenza. Non sono cyborg né estranei al gioco duro e violento di Mihajlovic. Dietro c’è l’abnegazione, la serietà, il senso di una fine che avvertono ma che vogliono respingere. O almeno gestire. Allenamenti precisi, alimentazione accorta. I dettagli contano se vuoi andare avanti in Serie A. Però in partita si dà tutto, senza condizioni. Solo questo può allungare la carriera. Lo stesso vale per Danilo, che in estate aveva chiesto addirittura due anni di contratto. Voleva chiudere qui con il calcio, a Bologna. Ma siccome l’età per un giocatore è sempre un terno al lotto, alla fine Danilo ha prolungato fino al 2021. Come Palacio. In estate ne riparleranno. Danilo è però l’uomo dei fili, senza di lui la difesa va in panne. Con lui soffre, ma regge. Ai tempi dell’Udinese Danilo era stato tra i giocatori più impiegati con continuità nei cinque maggiori campionati europei.
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