Olimpiadi, voltando le spalle al torto

Il Settebello ha subito un grave torto, non c’è dubbio. Però va ricordato anche altro: leggi il commento
Massimiliano Gallo
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«Chi vince, festeggia; chi perde, protesta». È il riadattamento in salsa di pallanuoto della frase cult di Julio Velasco. L’originale recita così: «Chi vince, festeggia; chi perde, spiega». Ieri la Nazionale italiana di pallanuoto ha messo in scena una vistosa protesta dopo l’errore arbitrale che ha condizionato il quarto di finale perso ai rigori contro l’Ungheria. Condizionato perché l'Italia è stata vittima di un assurdo errore. Peraltro riconosciuto da tutte le commissioni che hanno respinto i vari ricorsi presentati con l’obiettivo di far rigiocare la partita. Era successo che nel secondo dei quattro tempi l’azzurro Condemi aveva segnato ma al termine del suo tiro, in maniera del tutto involontaria, aveva colpito con una manata un avversario. A quel punto gli arbitri avevano incredibilmente annullato il gol all’Italia, espulso Condemi, concesso un rigore agli ungheresi e obbligato gli azzurri a giocare per quattro minuti con un uomo in meno. Tutto surreale.

Ieri l’Italia ha dato le spalle agli arbitri durante l’inno di Mameli e poi autoespellendo Condemi e giocando per quattro minuti con un uomo in meno. Protesta civile e per certi versi legittima. L’Italia ha subito un grave torto, non c’è dubbio. Però va ricordato anche altro. E cioè che la Nazionale di Sandro Campagna quel match lo aveva ribaltato. È vero che la rete di Condemi avrebbe portato gli azzurri sul tre pari e invece si sono ritrovati 2-4. Ma è altrettanto vero che il Settebello aveva cambiato il destino di quel match, si era portato sul 6-4, poi sul 7-5, e ancora sull’8-6. Gli azzurri hanno fallito due rigori e infine si sono fatti raggiungere per poi perdere proprio ai rigori. L’errore arbitrale pesa ma non è stata l’unica motivazione della sconfitta. La protesta in parte copre le responsabilità, gli errori nostri o la bravura degli ungheresi. È un atto che in qualche modo deresponsabilizza. E non racconta in modo esaustivo come si è giunti a quella eliminazione. Lo scriviamo perché in queste Olimpiadi è emerso questo profilo di de-responsabilizzazione, con la nascita del filone “il quarto posto è mio e lo festeggio io”. Senza arrivare a Pietro Mennea che ricordava: «Nella mia vita mi sono allenato ogni giorno, cinque-sei ore al giorno. Se tornassi indietro, mi allenerei otto ore al giorno, anche di più», sarebbe bello se la frase di Velasco diventasse: «Chi vince, festeggia; chi perde, ragiona sui propri errori».


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