Malagò esclusivo: "La mia partita non è finita"

Il presidente del Coni alle prese con la politica e una legge sui mandati che lo spingono fuori nel 2025. Non solo le 80 medaglie in due Olimpiadi e il consenso popolare lo trattengono
Ivan Zazzaroni
10 min

La voce di Giovanni Malagò è un po’ impastata: «Ho dormito pochissimo, l’aria condizionata ha fatto il resto». Al presidente del Coni il climatizzatore sostenibile Macron l’ha concesso. «E comunque sto benissimo».  

Cos’è, un messaggio agli oppositori? 

«Come altro potrei stare dopo un’Olimpiade così e il trionfo pazzesco delle ragazze?». 

Presidente, non gliel’ho mai chiesto, lo faccio ora: ma lei vuole davvero restare a lungo su quella poltrona?  

«Io vorrei dare seguito al lavoro di questi anni, si chiama spirito di servizio, il desiderio personale è quello di completare il percorso arrivando fino a Taranto e alle Olimpiadi del 2026, eventi per i quali mi sono esposto come non mai, cosa che mi viene internazionalmente riconosciuta. Milano-Cortina e Taranto sono frutto dell’attività di lobbing con i miei colleghi». 

Il lobbing, una delle sue specialità: lei è campione olimpico. 

«Nel nostro mondo per ottenere qualcosa è necessario il confronto continuo con le federazioni internazionali e col Cio, bisogna convincerli con i dossier, con la credibilità. Io ho cercato di dimostrare, riuscendoci, che il nostro Paese era migliore degli antagonisti. Taranto e Milano-Cortina non sono figlie dello spirito santo, ma di chi ha persuaso il Cio che l’Italia poteva offrire garanzie superiori alla Grecia, relativamente ai Giochi del Mediterraneo. Ci ho messo sempre la faccia». 

Domenica sera Adriano Galliani, l’uomo delle sintesi impeccabili, mi ha posto questa domanda: perché si pretendono le dimissioni di un presidente che perde un Europeo o un Mondiale e non si invoca la conferma di chi invece esce vincitore da due Olimpiadi?  

«Penso che non sia una domanda di circostanza. Di Adriano sono amico di lunga data, abbiamo condiviso molte scelte politico-sportive. Lui conosce benissimo questo mondo e sa perfettamente che le spinte contrarie sono esclusivamente politiche, non hanno niente a che fare con lo sport». 

Un altro endorsement che ho registrato personalmente, dopo l’intervista al ministro Abodi, è quello di Franco Carraro. 

«Carraro conosce da sempre la mia famiglia, prova affetto e stima nei miei confronti e ha un’esperienza di cose federali e sportive unica e irripetibile. Non vorrei sembrare poco elegante, ma dal 90% degli organismi sportivi, atleti inclusi, ho ricevuto segnali molto positivi, affettuosi e chiari. Inoltre non si può trascurare il consenso del 67% dell’elettorato qualificato. Ho letto anche le parole di Luca (Montezemolo, nda), mi hanno fatto molto piacere... Tra me e il ministro non c’è nulla di personale, tuttavia mi chiedo cosa sarebbe successo, a parti invertite, se a 5 giorni dalla chiusura dei Giochi avessi dichiarato che lui avrebbe dovuto lasciare». 

Abodi ha semplicemente risposto a una mia domanda senza esprimere un’opinione, ha riassunto il contenuto della legge. 

«Ho raccolto decine di testimonianze di sostegno, dopo quell’intervista». 

Qualcosa Abodi ha smosso, in fondo le ha fatto un favore. 

«Almeno venti atleti mi hanno chiesto se era vero che li stavo lasciando, comunque da Andrea non me lo sarei mai aspettato».  

Quando vi siete rivisti alla finale della pallavolo, com’è andata? 

«Era seduto a due posti da me, ci siamo salutati, mi ha fatto molto piacere che abbia preso l’aereo da Cagliari per venire alla partita». 

Mi tolga una curiosità: se non sbaglio, Pancalli, presidente del Cip, può usufruire della modifica della legge sui mandati perché il comitato paralimpico è passato da ente privato a pubblico. Pancalli lo presiede dal 2003, è al ventunesimo anno . 

«Premetto che sono felice che Luca possa continuare a dirigere un organismo che ha avuto uno sviluppo verticale e che ho sostenuto fin dal primo momento. Ma è come se avesse azzerato le lancette. Se è possibile per uno non capisco perché non possa esserlo per altri. O meglio, lo capisco, purtroppo». 

L’ha detto lei: la questione è strettamente politica. Scommetto che ha temuto che il risultato dell’Olimpiade potesse indebolirla. 

«Garantisco che non ho sofferto come un pazzo per questo, non ho mai riflettuto sulle possibili ripercussioni. Sono peraltro pochi gli esponenti della politica con i quali non ho buoni rapporti personali, qualcuno che non mi ama c’è, ma non ho pensato che vincendo 25 medaglie, e non 40, sarebbe stato diverso, un dramma personale. Certo, il fatto di essere a capo di un movimento che è il quarto per indice di competitività nel mondo dopo Stati Uniti, Cina e Germania e che ha appena disputato 79 finali olimpiche, qualcosa dovrà pure contare... Attenzione!». 

Sono attentissimo. 

«Sa qual è stata la prima cosa che Velasco ha detto dopo il trionfo sugli Stati Uniti? Ringrazio il Coni per lo spirito di collaborazione espresso sul piano della preparazione, dell’assistenza sportiva, logistica, medica, scientifica. Frasi dello stesso tenore le aveva pronunciate Marco Villa del ciclismo, ma anche con le federazioni antipatizzanti (tennis e nuoto, nda), la collaborazione è stata totale e ne sono orgoglioso». 

Cosa le viene rimproverato? La Megalòmania? 

«Non lo so, non voglio sembrare diplomatico. Qualcuno parla di invidia». 

E l’Anienismo? 

«È un discorso che poteva essere fatto due mandati fa. Occorre aggiornarsi anche su questo punto. Al Coni ho due donne vice, Salis e Giordani. In Giunta ci sono Buonfiglio, Copioli, Di Paola, Gimondi, Gravina e Rossi. Atleti, Antonella Del Core e Paolo Pizzo. Il tecnico, Maccarani, D’Antoni ai comitati regionali e Giovanni Gallo agli enti di promozione. Tracce di Aniene non visibili. O meglio, solo nel medagliere: due ori, Martinenghi e Caterina Banti. Ori olimpici da un circolo no profit che non riceve contributi pubblici». 

Presidente, c’è chi parla di Malagò-Gravina contro tutti. 

«Quel tutti sta per due presidenti su 48? Con Gabriele i rapporti sono molto buoni, così come con altre figure istituzionali». 

Tra quattro giorni parte il campionato più anomalo degli ultimi anni, quello del post-fallimento europeo nel quale 8 delle 20 squadre rischiano di essere distratte dalle Coppe e tramortite da un calendario assurdo. 

«La vigilia di ogni stagione calcistica è carica di ambizioni e di speranze. Non entro nel merito tecnico, posso solo esprimere l’augurio che il campionato diventi un’importante vetrina per mettere in evidenza giovani di prospettiva, in funzione della crescita del movimento nell’ottica della Nazionale». 

Risposta da dirigente di apparato, Anni 60. 

«Ne convengo». (Sorride).  

Non sarà che l’invidia nasce dall’eccessiva visibilità? 

«Oggi la comunicazione è dominante anche attraverso i social. Si è più esposti. Venti, trent’anni fa ad assistere alla cerimonia d’apertura dei Giochi c’erano 300 milioni di persone, oggi 800. Il presidente Bach ha affermato che la metà del mondo ha seguito l’evento, parliamo della metà di 8 miliardi». 

Posso darle del tu? 

«Ci mancherebbe, dopo quell’intervista poi...». 

(Ride). In questi anni ti ho visto invecchiare parecchio. 

«Mi sono anche tanto divertito». 

Dalla poltrona ci si può alzare. Non l’ho detto io. 

«Certo, ma non prima che la partita sia finita, soprattutto se si sta vincendo. Come faccio a perdermi il finale?». 

 


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