Olimpiadi, Luca Cordero di Montezemolo: “Il Paese sia grato allo sport italiano”

L’ex presidente della Ferrari parla dopo i Giochi: “Movimento fortissimo. Sono deluso dalle parole di Abodi”
Giorgio Marota
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Anche i grandi manager hanno un cuore. Quello di Luca Cordero di Montezemolo comincia a battere all’impazzata al termine di Italia-Stati Uniti. Sono le ore 14.30, a Parigi è appena caduta l’ultima palla di una finale in grado di ripagare la nostra pallavolo di tante lacrime e di decenni di sacrifici, e l’ex presidente della Ferrari decide di farsi coinvolgere in un racconto che abbraccia due settimane di emozioni: dalla corsa contro il tempo di Ganna alla chiusura del cerchio affidata al maestro Velasco, prima e ultima medaglia «di un’edizione memorabile». 
Sul podio sta suonando l’inno di Mameli. Julio ce l’ha fatta. 
«Velasco ha ricostruito uno spirito di squadra che era andato perduto, pensate alla gestione di Egonu. Questo trionfo è la ciliegina sulla torta». 
 
Quaranta medaglie, come a Tokyo. 
«E 25 quarti posti, che ci dicono come il movimento sia fortissimo. Abbiamo ragazzi eccezionali anche nei comportamenti. Il Paese deve essere grato allo sport perché ha restituito un’immagine bellissima dell’Italia. Malagò, le federazioni, i tecnici e gli atleti: fantastici. Solo una nota stona». 
 
Quale? 
«Le dichiarazioni di un ministro dello sport che, da sotto l’ombrellone, ha accusato duramente i vertici del movimento. Un uomo di sport non lo fa, almeno non quando le istituzioni hanno bisogno di supporto». 
 
Abodi ha detto, in un’intervista al nostro giornale, che «dalle poltrone ci si deve alzare». 
«Mi auguro che i politici siano meno presenti alle inaugurazioni dei palasport o alle premiazioni e più consapevoli che serva un piano per l’impiantistica e lo sport nelle scuole, oltre che aiutare le tante società in sofferenza». 
 
In un Paese sedentario e senza strutture, come riusciamo a esprimere questi talenti? 
«È il genio italiano, la bravura di dirigenti, tecnici e atleti. Senza programmazione il miracolo non durerà». 
 
Potevano essere le Olimpiadi di Roma, lei era presidente del comitato promotore. 
«Più della metà degli impianti erano esistenti, quel “no” fu un errore clamoroso di cui la città paga ancora le conseguenze».  
 
I simboli dell’Italia Team? 
«Paltrinieri e Tamberi, due veri giganti. Poi tutte le ragazze, che sono tante, dalla Battocletti alla coppia Consonni-Guazzini». 
 
Il risultato che l’ha emozionata di più? 
«A braccio: Ganna, Tita e Banti perché confermarsi è un’impresa, poi Jacobs che ha lottato come un leone, i nuotatori Ceccon e Martinenghi, le medaglie del tennis e le azzurre del volley». 
 
Prima citava Malagò, è all’ultimo mandato.  
«È un amico fraterno, merita complimenti e di proseguire il suo lavoro al Coni. Devo dire poi che ho molto invidiato il suo aplomb con certi arbitraggi. Una volta io feci a cazzotti con un direttore di gara in F1». 
 
Cosa può imparare la Ferrari dallo sport italiano? 
«A vincere, i podi non bastano più e la Ferrari deve tornare sul tetto del mondo». 
 
E il calcio?
«A litigare un po’ meno, perché sinceramente le beghe poltiche tra Figc e Serie A stonano con la bellezza dello sport pulito e autentico dei Giochi». 

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