PARIGI (FRANCIA) - «Che bella Casa Italia così». John Elkann dà appuntamento la mattina alle 9 e alle 8.30 è già lì, pantalone bianco, felpa olimpica. L’orario aiuta: non c’è nessuno. Gioca d’anticipo in questa full immersion ai Giochi. Di sicuro porta fortuna: in tribuna l’altroieri e il tennis ha vinto l’oro, in tribuna ieri alla ginnastica per assistere allo storico trionfo di Alice D’Amato. Oggi il calcio lo reclama: sarà a Torino per la festa di inizio stagione. Juve contro Juve Nextgen. Ma vuole condividere qualcosa che gli sta molto a cuore: il legame tra il trofeo Coni, vera Olimpiade under 14, e la Fondazione Agnelli. «Vogliamo far passare il messaggio che sport e istruzione possano andare mano nella mano, alimentandosi a vicenda. Rinunciare allo sport non ti fa andare meglio a scuola e viceversa». Ma la Juve è la Juve, la Ferrari è la Ferrari. L’orgoglio è l’orgoglio: «Nessuno al mondo ha un rapporto così longevo con lo sport come noi e questo va oltre l’idea della proprietà».
Quando nasce il legame con il mondo olimpico?
«Nel 2006, portiamo avanti progetti con il Coni ormai da tanti anni, vogliamo cercare di contribuire ancora».
In che modo?
«Coinvolgendo campioni olimpici e paralimpici, attraverso le loro testimonianze. E poi, ancora più attivamente, sostenendo atleti che lavorano e devono contestualmente preparare le Olimpiadi. Ora il trofeo Coni ci permette di mettere insieme istruzione e sport, valori in cui crediamo molto. Lo sport è un “abilitatore”. Chi lo fa, affronta la vita in modo diverso e avrà una maggiore capacità organizzativa».
Cosa insegna un’Olimpiade vista dal vivo?
«Che si può convivere in modo armonico, nel rispetto di tutte le diversità. Con l’obiettivo comunque di primeggiare e tornando alla condivisione subito dopo la fine della gara. È quello che avviene in queste due settimane al villaggio olimpico. Volendo, si può fare in tutti gli ambiti. L’Olimpiade è un modello di civiltà».
Lo sport italiano a che punto è?
«Siamo all’avanguardia: oltre alla passione, abbiamo competenze e preparazione».
Oggi Thiago Motta entrerà nello Stadium per la prima volta. Sarà un festa.
«Una bellissima atmosfera. Vogliamo creare un clima di condivisione. Il legame tra la nostra famiglia e la Juventus è fortissimo, con queste iniziative vogliamo portare la Juve nelle famiglie. Al tempo stesso, lavoriamo per coinvolgere con una grande attività social chi non può essere fisicamente vicino a noi».
Motta è l’uomo giusto?
«Con Thiago ci avviciniamo a una nuova generazione, la nostra squadra è molto giovane e lui ha l’esperienza necessaria per lavorare con il nostro gruppo. È la persona di cui abbiamo bisogno».
La Juve è all’anno zero? E la Juve può permettersi un anno zero?
«Dipende da cosa vuol dire».
Che si può anche non vincere.
«Questo è come lei lo interpreta. Io parto dalla frase che ho letto in questi giorni al Roland Garros: “la vittoria appartiene a chi ha tenacia”».
Cos’è la tenacia?
«La voglia di rimetterti in gioco dopo i momenti di avversità. L’anno zero è lasciarsi dietro quello che è accaduto, premere il tasto “reset” e guardare avanti. Gli atleti, le squadre forti sono quelle che hanno queste capacità, senza entrare in situazioni di alibi. D’altra parte è normale che siano tutti contro di te: se competi, lo fai con i più forti al mondo che vogliono batterti. Ed è normale che se i risultati non arrivano, i tifosi non siano contenti».
Calandosi nella realtà del nostro campionato.
«Il nostro calcio non è più il punto di arrivo dei grandi campioni ma un trampolino per andare in Premier nel pieno della carriera. In Italia giocano giovani alle prime armi che si devono formare».
È un peccato.
«No, è un peccato non affrontare la realtà. Questa è la situazione che stiamo vivendo, l’errore sarebbe negare questa evidenza».
È stato difficile arrivare a Hamilton?
«Certe cose accadono molto rapidamente. Questo è stato il momento in cui lui e la Ferrari si sono trovati. Lui vuole vincere l’ottavo titolo, la Ferrari vuole vincere e con Lewis è più forte. Non viene alla Ferrari per godersi la pensione ed è importante avere intorno persone motivate, che vogliono vincere».
Cosa porta un pilota di 40 anni?
«In Formula 1 ora c’è vera competizione, con 4 scuderie molto vicine: Red Bull, Ferrari, McLaren, Mercedes. È importante andare sempre al massimo del potenziale: chi ha più esperienza ha più regolarità come dimostra Hamilton e anche lo stesso Alonso. E la regolarità conta».
Hamilton come Djokovic e gli altri campioni senza età?
«Loro due, Federer, Biles, Ronaldo, Messi e lo stesso Paltrinieri. Con dedizione e sacrifici stanno superando i limiti fisici dovuti all’età. È anche vero che siamo in una fase storica in cui si vive più a lungo e si allungano anche le carriere degli sportivi».
Lo sport è?…
«L’emozione che vivi con le persone che ti sono vicine. Il senso della partita di domani (oggi, ndr) è anche questo».
I giovani stanno mandando un messaggio diverso rispetto al passato di fronte a una mancata vittoria?
«L’obiettivo deve essere raggiungere il massimo del tuo potenziale. Prima partecipa, poi prova a vincere. Oggi i ragazzi si stanno focalizzando molto sulla felicità di vincere e non sul dispiacere di perdere. Sono entrambi grandi stimoli, io vedo che cominciamo a guardare al positivo, con un approccio molto più sano».
Sport praticati?
«Quelli che posso fare con i figli, in questo momento calcio e tennis. Una condivisione che mi piace molto. In maniera più seria direi la vela: puoi permetterti esperienze di alto livello anche se non sei propriamente un atleta. Con Soldini abbiamo fatto più di 10 anni di sfide su Maserati 1 e Maserati 2, nel 2026 vareremo una barca Ferrari. Anche la vela è una grande scuola di vita: dipendi da elementi esterni e in certe situazioni puoi solo aspettare. Anche qui ho cercato di coinvolgere i ragazzi che in realtà preferiscono le barche piccole, dove c’è grande partecipazione e controllo».