L’Olimpiade del Business

Leggi il commento del Corriere dello Sport-Stadio sui Giochi di Parigi, al via oggi
Italo Cucci
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Ho letto che le Olimpiadi Moderne più belle sarebbero state quelle di Londra 2012. De gustibus. Forse sportivamente. Ma da lungo tempo - direi dal dopoguerra - preferisco dare ai Giochi un significato sociopolitico che scaturisce dai gesti non solo sportivi degli atleti.
Cito Roma 1960 perché fu l’Olimpiade dal volto umano ma soprattutto il vero segnale di pace lanciato da un Paese che aveva promosso la guerra. Dalla distruzione alla ricostruzione. Chi volle lo capì.
Cito Città del Messico 1968, quando il 16 ottobre i velocisti afroamericani Tommie Smith e John Carlos arrivarono primo e terzo nella finale dei 200 metri piani: dopo essere saliti sul podio per la premiazione e aver ricevuto le medaglie si girarono verso la bandiera statunitense appesa sopra gli spalti e quando si diffusero le note di The Star-Spangled abbassarono la testa e alzarono il pugno chiuso, coperto da guanti neri: un’immagine che sarebbe diventata storica, il simbolo di un decennio di proteste e sacrifi ci per i diritti civili dei neri. Altro che Mbappé. Cito Mosca 1980, dove il valore degli atleti - in prima fila Pietro Mennea e Sara Simeoni - alleviò le pene del boicottaggio e annunciò - se non provocò - la fine del regime sovietico gestito da un Breznev incapace di richiudere le muraglie aperte allo sport per mostrare la presunta liberalità dell’Urss. I Giochi divennero in breve Glasnost, Perestrojka e la caduta del Muro annunciata dal giovane Putin. Cito Pechino 2008, quando il regime cinese - appena reduce dalla strage di piazza Tien An Men e dal gesto coraggioso del Rivoltoso Sconosciuto che il giorno dopo la tragedia, 5 giugno 1989, si parò davanti ai carri armati impedendone l’avanzata - si tolse la maschera rossa del comunismo e mostrò il volto dorato del consumismo.
Guidato da un collega cinese scoprii che la bandiera rossa issata sul palazzo del Governo sventolava giorno e notte grazie a un ventilatore appositamente appostato. Quelle di Parigi dovrebbero essere le Macronolimpiadi, l’esibizione di potenza di una rivisitata Francia Imperiale ma già un fatto storico - l’esclusione della Russia dai Giochi - ne mina la credibilità. Ogni tanto si ricorda che gli antichi Giochi fermavano le guerre ma forse non è abbastanza chiaro che i pacificatori non erano Zeus e il guerrafondaio Marte ma i politici del tempo capaci di raggiungere compromessi, di sospendere o cessare le attività bellicose. Macron e compagni sono riusciti a espellere dai Giochi il Paese più grande del mondo, incapaci di raggiungere almeno una tregua con il vecchio Putin per dar requie ai vivi e ai morti. Così come l’ininterrotta guerriglia di Haifa che fa agitare gli antisemiti parigini. L’unica certezza è che queste saranno le Olimpiadi del Business.
Sinner che sta a casa, che non va a Parigi, mi suggerisce l’idea di come un gesto forzato da una tonsillite vagante possa diventare la metafora di una rinuncia del Bravo Ragazzo ai Giochi d’Affari. Son finiti sul Tg1, l’altra sera, i compensi degli atleti italiani decisi dal Coni: 180.000 euro lordi per l’oro, 90.000 all’argento e 45.000 al bronzo. La nostra è una delle federazioni internazionali che paga di più. Molto inferiore - ad esempio - la quota degli assegni deciso dagli Stati Uniti: l’oro è pagato 35.000 euro, l’argento 21.000, il bronzo 14.000. Gli atleti della Gran Bretagna partecipano e lottano addirittura gratis, seppur con vari benefit. Sant’Ambrogio da Milano s’infuriò per molto meno - nel 393 d.C.- quando pretese e ottenne dall’imperatore Teodosio la sospensione dei Giochi con la scusa ch’erano diventati cristiani e risultavano intollerabili i ricchi premi e cotillon riservati agli atleti che gareggiavano spesso seminudi. Scandalosi.
Si dice che Ambrogio influenzò secoli dopo anche il pensiero di un suo concittadino, Carlo Marx, nato come lui a Treviri. Ipocrisia al massimo livello - si disse della pretesa del severissimo vescovo di Milano - dimenticando le critiche di Plutarco che aveva rivelato, da buon cronista, come fin dalle origini dei Giochi (776 a.c.) usassero compensi in natura, in denaro, in esenzioni fiscali oggi non tanto importanti visto che gli atleti più ricchi hanno la residenza a Montecarlo o in altri paradisi d’evasione non solo turistica. Ipocrisia che continuò anche quando il rifondatore dei Giochi, il giornalista Charles Pierre de Frédy, barone di Coubertin, promosse la rinascita dei Giochi nel 1894 e li fece assegnare a Atene nel 1896. Come un politico navigato depositò per l’eternità una frase di taglio populista - “L’importante non è vincere ma partecipare” - che in realtà rivelava come già la semplice partecipazione fosse riservata alle classi superiori - abilitate a un’attività sportiva costosa - e non ai poveracci. Non è un caso che io citi Sinner e il tennis come dettaglio sensibilissimo di questi Giochi Business che danno molto onore allo sport universalizzato dai mitici Lacoste, Cochet e Borotra, visto che dopo aver fatto parte dei Giochi moderni fin dalla prima edizione il tennis è stato poi escluso dai Giochi del 1928 per rientrare a Città del Messico nel 1968 - come torneo d’esibizione - finché con Seoul 1988 è tornato a essere uno sport olimpico. Per proprio merito, non per curiosità. Mi chiedo infatti cosa potrà offrirci in futuro la break dance.


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