Antilai significa “figlia del vento”. Non esiste vittoria o sconfitta che possa frenare una ragazza nata selvaggia, libera e senza catene. Forse anche per questo motivo Antilai Sandrini ha scelto il breaking, che fonde diversi tipi di danza con elementi urbani e atletici, fino a evolversi da esibizione di quartiere a forma d’arte diffusa in ogni angolo del pianeta. «Il mio nome è unico al mondo» ci racconta tra un allenamento e l’altro la 26enne friulana (ma nata a Livorno), mentre si prepara per le Olimpiadi. La sua disciplina esordirà ai Giochi proprio a Parigi, il 9 agosto, nella suggestiva Place de la Concorde. Il luogo che per i francesi è tappa obbligatoria di qualsiasi corteo, e che già ai tempi della Rivoluzione raccoglieva le grandi folle, sarà trasformato nel cuore pulsante degli sport di strada: dallo skateboard alla pallacanestro 3x3, fino alla BMX freestyle e, appunto, alla breakdance.
?Antilai, lei è davvero libera?
«Lo sono. E vado fiera di questo nome perché sono l’unica al mondo ad averlo. L’ha inventato un amico di mia mamma in un suo romanzo».
Libera anche dalle pressioni di un’Olimpiade?
«Cercherò di viverla come ho sempre vissuto la danza: divertendomi».
Quando un’espressione artistica diventa sport, non si perde un po’ la magia?
«Chi balla non può essere triste. Si possono esprimere anche emozioni meno positive, ma sempre con felicità».
Quindi lei va ai Giochi con quale obiettivo?
«Vincere. Ma non la medaglia d’oro. Per me vincere è un’altra cosa: essere me stessa, senza paura e fiera di me. Ballare come se fossi nella strada sotto casa».
Quando è cominciata questa bella storia?
«Quando è morto Michael Jackson nel 2009. Se ne parlava così tanto che ho iniziato a informarmi, ho comprato libri, ascoltato cd, e ho capito che anche io ero nata per questo. Mio padre, dj per hobby, mi ha insegnato i primi passi in giardino. Mia madre mi ha iscritto al primo corso».
Ed è diventata è tra le migliori al mondo, nella top 5 del ranking insieme alla cinese Liu, alle giapponesi Yuasa e Fukushima e alla lituana Banevic.
«Sono partita dalla ginnastica artistica, dal cheerleading e ancora pratico il kung fu. Quando ho conquistato il pass per i Giochi ho pianto dalla felicità perché ho visto chiudere il cerchio. A Parigi sfiderò le migliori».
Com’è la vita di un’atleta del breaking?
«Mi alleno dal lunedì al sabato, per 5 o 6 ore. La mattina faccio preparazione fisica, il pomeriggio la tecnica. Ora sto “ripulendo” i movimenti e mi preparo mentalmente con la meditazione. Poi cerco di rispondere ogni giorno, in forma scritta sul mio quaderno, alla stessa domanda. Ve lo dico subito: non posso svelarla».
Quali sono i suoi riferimenti?
«Cerco di studiare la tecnica degli americani come Mr. Wiggles, e lo stile dei giapponesi. Il breaking non è soltanto arte. E non è una disciplina normale».
In che senso?
«Nella vita di tutti i giorni chi si butta per terra sulla schiena e poi tenta di fare complicatissimi giri a ritmo di musica?»
Se una bambina le chiedesse in cosa è speciale la breakdance?
«Si può fare ovunque: ogni luogo è quello giusto e non servono attrezzi. Grazie alla danza io sono sbocciata come un fiore, trovando tutti i miei colori».
Quando ha cominciato c’erano poche donne.
«Pochissime. Ed è bello che forse l’unica Olimpiade che avremo sarà la più inclusiva di tutte, con piena parità di rappresentanza. Per questo voglio godermela: andrò alla cerimonia d’apertura, tornerò a casa per finire la preparazione e poi di nuovo a Parigi per la gara. Al villaggio dei supereroi spero di incontrare la ginnasta Simone Biles».