Il nome della rosicata

Ivan Zazzaroni
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Io Malagò lo capisco. Fino alle 12 e 20 italiane di domenica era il perdente annunciato, più che il presidente confermato, del Coni: con scarsa attenzione all’insieme del racconto olimpico, i suoi antipatizzanti più rancorosi erano pronti a massacrarlo denunciando il fallimento della spedizione azzurra, di un’Italia da Compro Oro (l’unica via per ottenerlo a Tokyo). In poco più di dieci minuti, un bel salto, nove secondi e 80 centesimi il mondo si è però capovolto e Giovannino è diventato improvvisamente il presidente degli indimenticabili. Io Malagò lo capisco, dicevo. È un istintivo, un uomo fortunato e di mondo (assai più di altri), la sua politica, che non è fatta di sole pacche sulle spalle, è solitamente vincente.

Malagò non lo capisco, tuttavia, quando - passato dalla stanchezza e dalla tensione all’euforia - al telefono con Draghi, che lo sport l’ha praticato e di sport ne sa più di molti suoi ministri e sottosegretari, afferma che «questi due ori sono molto più importanti dell’Europeo di calcio, poiché planetari». Malagò è il capo di tutto lo sport italiano, anche del calcio, dovrebbe trasmettere unità e avrebbe dovuto capire che il trionfo del Pallone Milionario una volta tanto non aveva suscitato nei “poveri” ragazzi italiani d’Olimpia - due poliziotti - invidia, bensì emulazione. Come è accaduto a Marcell quando ha visto Gimbo volare verso l’oro. Vengo anch’io, sì tu sì.

Non esiste una gerarchia della gioia: e ci sono momenti in cui l’importanza di un successo non si pesa. Quando è di tutti. Capisco anche gli americani, comunque. Dopo gli inglesi - già scatenati ieri nel calcio, oggi nei Giochi - a rosicare ci si sono messi gli yankees nell’atletica. I trionfi - e che trionfi - degli italianuzzi, in particolare quello nei 100 dove gli Stati Uniti avevano vinto 17 volte su 30 (edizioni), risultano fastidiosi.

A Londra stanno ancora raccogliendo le firme per chiedere all’Uefa la ripetizione della finale di Wembley, e se dipendesse da Ceferin, sarebbe cosa fatta: ma è solo un sospetto malizioso. E insomma dall’11 luglio scorso non passa giorno che un inglese non si impegni per mettere in discussione il successo della nostra Nazionale.

Dallamericarosicano. Ieri il Washington Post ha avanzato sospetti sulla strepitosa progressione di risultati di Marcell Jacobs, il Dio Sconosciuto: “Un ventiseienne che fino a questa primavera si esibiva alla periferia dello sprint d’élite ha vinto i 100 metri in 9’’80 e si è guadagnato il titolo non ufficiale di uomo più veloce del pianeta. Solo i più caldi appassionati dell’atletica avevano sentito parlare di Jacobs. I bookmaker lo quotavano tra 8-1 e 10-1, un outsider. L’americano Fred Kerley, argento con il suo record personale di 9’’84, ha detto “non sapevo niente di lui”, parlando dell’uomo che ha raccolto l’eredità di Bolt. “Il nuovo campione olimpico dei 100 metri è sceso sotto i 10 secondi per la prima volta a maggio” ha tuittato Matt Lawson, corrispondente per il Times dai Giochi. “È venuto qui, ha corso 9’’84 in semifi nale e 9’’80 per vincere. Ah, bene”. Più fegatoso il Times: “Da Ben Johnson a Gatlin, a Coleman, l’arrivo di una nuova stella mette in allerta”, ha segnalato, aggiungendo che delle 50 migliori prestazioni mondiali dei 100, a parte le 14 realizzate da Bolt, 32 su 36 appartengono a velocisti poi risultati positivi. Smile.


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