Caro Italo, ho atteso che arrivassi a ottanta per darti per la prima volta, o forse è la seconda, del tu e non del lei: il rispetto, la stima e l’affetto sono sostanza ma anche forma.
Quaranta dei tuoi 80 li ho vissuti al tuo fianco, e poco importa(va) la distanza fisica: prima al Guerin Sportivo, a Master, al Corriere dello Sport-Stadio, in tv, e poi di nuovo al Guerino e al Corsport, da direttore: migliaia di telefonate, anche cinque al giorno, un ininterrotto scambio di opinioni, le richieste (mie) di consigli (tuoi).
Da te ho imparato il mestiere, la necessità di restare “fuori dagli schemi e dagli scemi”, cane sciolto, isolato: ho saputo individuare i tuoi pregi e trascurare i difetti (ne hai, ne hai); ho sempre ammirato la tua autonomia, la tua energia, la tua freschezza, la capacità di trasformare anche le rarissime sconfitte in successi personali, troppi ne hai avuti, e il bisogno di spenderti per il giornale e i lettori, di esserci: «Domani sono a Rimini, dopodomani a Udine, venerdì a Milano, c’è il libro da presentare a Cagliari, e Italpress mi chiede di…».
Ancora adesso invidio la tua visione delle cose: sei un impareggiabile situazionista. I tuoi nemici sono spesso i miei, chi sta sulle palle a te di solito sta sulle palle a me. Tuttavia ho capito di essere cresciuto professionalmente quando ho cominciato a non trovarmi più d’accordo con te su alcuni punti, su alcune persone.
Confesso che dal ‘78 mi domando ciclicamente “ma come cazzo fa a reggere una vita del genere”?
Ti devo gran parte della carriera: inviato a 27 anni, caporedattore a 28: mi sposai in un mese e dopo avermi dato del matto dicesti che avevi bisogno di me: «Non vai ai Mondiali del Messico, lo so, te li avevo promessi, ma diventi il mio braccio destro e ti faccio capo della redazione». Cinque anni dopo mi chiamasti a Roma.
A ottant’anni continui a lottare come un trentenne talentuoso, il più talentuoso: moderno nel linguaggio, pieno di idee e progetti, modernissimo nell’attenzione al nuovo, anche alle tecnologie più sofisticate, ma con continui riferimenti al passato, ai personaggi incontrati.
Posso dire di conoscerti come un figlio conosce il padre, perché ho frequentato anche il tuo lato nascosto, la tua umiltà quando si tratta di lavoro.
Sì, sono un raccomandato. Da te. Ed è proprio questo che mi rende orgoglioso.