(ANSA) - ROMA, 27 DIC - Si è spento nella sua casa a Roma a
94 anni dopo una lunga malattia il saggista, critico letterario
e giornalista Walter Pedullà. Grande il cordoglio della Rai con
la quale ha operato dal 1977 al 1992 nel Consiglio di
amministrazione del Servizio Pubblico, di cui è stato anche
presidente dal 1992 al 1993. Nato a Siderno il 10 ottobre 1930,
ha vissuto intensamente questo secolo nel nome di letteratura e
politica fin dalla laurea in Lettere a Messina. Ha anche
insegnato Storia della letteratura italiana moderna e
contemporanea a La Sapienza dal 1958 al 2005 (nei primi 8 anni
come assistente di Giacomo Debenedetti, suo maestro).
Nel suo ultimo libro, 'Il pallone di stoffa. Memorie di un
nonagenario''. (Rizzoli, pag. 543, Euro 22,00) con cui nel 2020
ha vinto anche il primo Premio Flaiano speciale di narrativa
alla carriera e il premio letterario Carlo Levi per la Sezione
narrativa, Pedullà racconta l'avvincente "partita da
protagonista" che ha giocato nei suoi 90 anni di storia, con una
vita costellata di eventi eccezionali, compreso il fatto di
essere morto e poi risorto, una volta, quasi due.
Pedullà ha vissuto intensamente questo secolo grazie alle otto
bottigliette di Coca Cola al giorno ed altrettante mele, per
scandire giornate e notti nel nome della letteratura e della
politica. ''Ho passato metà della vita a leggere'', scrive ma è
arrivato a tanto grazie ad una massicci dose di ironia, che
certo ha mutuato anche da uno dei suoi autori preferiti, Aldo
Palazzeschi e dal suo Codice di Perelà.
L'autoritratto che Pedullà abbozza (nonostante le 543 pagine è
solo un volo d'uccello sulle sue mille vite) in questo suo
intensissimo volume, è epocale da molti punti di vista. La
storia lo trascina nelle sue trasformazioni, dal paese rurale,
quasi medievale, dove il padre sarto e la madre portano avanti
con carattere e ambizione un nutrito gruppo di sette figli,
sperando di riuscire a farli tutti laureare. Un paese dove
esplode subito la passione politica, quella socialista di
Walter, quella comunista del fratello Gesumino.
La fatica della giovinezza è palpabile, quasi polverosa come i
chilometri da fare ogni giorni, lezioni su lezioni private e lo
sforzo della retorica per un ragazzo che per timidezza non
parlerebbe e invece il caso lo porta a non fare quasi altro
tutto il giorno. Un ragazzo dalla proverbiale determinazione,
che diventa allievo e poi assistente di Giacomo Debenedetti, per
cui nutre una ammirazione senza limiti, e nella sua ascesa
incontra, diventa amico, di tutti i piu' grandi intellettuali
italiani, da Malerba a Sciascia, da Bonaviri (che come medico
gli salva la vita) a D'Arrigo, da Pagliarani, a Volponi (sono
cosi' somiglianti che li scambiano) a Borsellino. E poi gli
scrittori che incontra e non resiste ad intervistare, da Gadda
che gli risponde a monosillabe, a Pasolini che lo porta in
macchina per la periferia romana.
Passione politica che lo promuove al ruolo di critico letterario
per L'Avanti per anni, e poi dall'Università La Sapienza a Viale
Mazzini, prima nel consiglio d'amministrazione per 17 anni e poi
presidente della Rai e infine alla presidenza del Teatro di
Roma. Passione che gli fa scatenare sentimenti forti, d'amicizia
ma anche no, come per Enrico Manca o Angelo Guglielmi, che
racconta di aver più volte aiutato per essere poi amaramente
sconfessato nel momento del bisogno.
Del resto, lo dice anche lui, il suo è mestiere di stroncatore,
e allora descrive Berlusconi come un barzellettiere furbetto e
mentitore, Veltroni che passa sopra a Vittorio Gassman per la
nomina di Martone alla direzione del Teatro di Roma, Cesare
Garboli legato a interessi poco letterari e su Craxi sorvola.
''Soltanto chi arriverà alla fine saprà se ha vissuto una vita
tragica o comica. Se la conclusione sembra ridicola, ridiamone''
scrive. (ANSA).
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