Il mercato europeo EU, aggiungendo UK e i Paesi EFTA (Islanda, Norvegia, Svizzera) nei primi quattro mesi del 2024 è aumentato di poco, il 6,5%, rispetto allo scorso anno. Le indicazioni sono chiare, si vendono le vetture a benzina 35,8% del mercato, le ibride in sensibile aumento il 29,6%, le elettriche stabili al 13,2%, le Diesel in diminuzione 11,3%, le ibride con la spina in leggero ma chiaro aumento sono il 7,3%. Il gruppo VW, Stellantis e Renault insieme è la metà del mercato. Toyota, BMW , Land Rover, Volvo, Nissan, Suzuki fanno un passo in avanti. Anche Honda e Mitsubishi che sono meno del 1% del mercato crescono. Chissà se finalmente Honda non intenda svilupparsi anche sul mercato europeo. Tesla dopo risultati continui di crescita si è un po’ fermata. I cinesi hanno iniziato a occupare quote di mercato e SAIC Motor ha immatricolato 75.912 vetture nei primi quattro mesi in aumento del 26,6% rispetto al 2023. Per ora i cinesi sono intorno al 2% del mercato ma in aumento e con chiari programmi di crescita. Questo il quadro numerico che interpretato in profondità rileva una netta dicotomia tra ciò che vuole Bruxelles e i costruttori e ciò che vogliono i consumatori. Rinnovare il parco è un obiettivo da perseguire ma con questi volumi di vendita e con queste strategie non è così facile. Il mercato chiede vetture meno care e più piccole, vetture benzina e ibride in maggioranza. I costruttori sfornano vetture elettriche e care. Qualcuno comincia a cambiare programmi e persino a dichiararlo pubblicamente e converte la produzione da elettrico a ibrido.
Con l’elettrico finora non si fanno profitti, ma si sapeva prima di iniziare e allora non è possibile sostenere i programmi così come incautamente stabilito negli anni passati. Ci sono costruttori che hanno perso miliardi di euro con l’elettrico e allora pragmaticamente ricorrono all’ibrido. Ma questa operazione tampone non è sufficiente, si deve avere il coraggio di interpretare il mercato e no in maniera arrogante chiedere al consumatore di comperare ciò che non si può permettere economicamente. La domanda di fondo è se la classe politica europea insieme ai capi delle principali case costruttrici sia in grado di riconoscere gli errori, cambiare strategia e proteggere le conoscenze industriali e tecnologiche delle fabbriche del continente.