Rue Octave Feuillet, a Parigi, era considerato come un tempio dedicato alla conoscenza e all’innovazione, il modo migliore per lasciarsi definitivamente alle spalle la Grande Guerra. In quegli anni, André Citroen coltivava una sana abitudine: il piacere di incontrare e intrattenersi con amici, intellettuali, politici, personaggi rappresentativi di svariati mondi del lavoro, dalla politica all’industria, dall’arte allo spettacolo. Incontri ravvicinati e prestigiosi nei fine settimana, incrocio di idee in grado di offrire spunti da approfondire e tradurre in occasioni professionali. I suoi ospiti sovente erano invitati alle riunioni di lavoro e vi partecipavano con entusiasmo visto che il fondatore della Casa automobilistica era considerato un geniale precursore dei tempi, una fantasiosa fonte di ispirazione.
André Citroen era solito dare voce ai suoi amici e collaboratori, li chiamava a esporre testimonianze importanti. E da un racconto, una testimonianza affidata a Monsieur Guillot, suo ambasciatore negli Stati Uniti, nacque lo spunto per la realizzazione di uno dei più grandi film della storia del cinema mondiale. Guillot fu chiamato infatti da Citroen a raccontare la sua testimonianza sull’evoluzione della produzione industriale negli Stati Uniti, un racconto impressionante sulle catene di montaggio: "Gli operai erano sottoposti a turni molto impegnativi per far fronte alle richieste di produzione. Lavori e attività spesso ripetitive che rischiavano di portare all’alienazione e alla spersonalizzazione completa delle persone". In particolare, Guillot aveva osservato che "al termine dei turni di lavoro, gli operai erano talmente spossati che non riuscivano a colloquiare tra loro e tantomeno sorridere" come riporta Silvain Reiner, nel suo libro intitolato"La tragedie d'André Citroën" (Amiot Dumond, 1954). Reiner descriveva l’incontro, le domande degli interlocutori-ospiti e le risposte dello stesso André Citroen, facendo riferimento a un’operazione quasi al limite dello spionaggio di cui Guillot era stato protagonista, visitando anche le fabbriche Ford sul Lago Erie a Detroit.
Un viaggio commissionato dallo stesso Citroen per realizzare una delle sue idee innovative, una catena di montaggio diversa però da quelle del modello americano appena nato. "Tutti mi accostano a Ford, ne recito la sua parte, dicono che io sia il Ford francese: lascio dire è un’ottima pubblicità, ma in realtà non è così… Lui ha creato un’opera gigantesca e fredda" rispose André e la cronaca del tempo riporta anche espressioni dure su quel ciclo produttivo considerato “senza sangue” e alla stregua di un “mostro”. Era soltanto il modo per arrivare a esporre la sua visione della catena di montaggio da introdurre nella produzione di auto: "Io vorrei che noi arrivassimo, con Javel (la fabbrica), a creare dappertutto dei sorrisi supplementari, in tutti i reparti, in tutti gli anelli della catena. Questa catena, necessità del nostro secolo, non la possiamo più cancellare, ma abbiamo il dovere di distruggerla con questa massa di sorrisi".
Una giornata che colpì tutti i presenti, animando osservazioni e confronti. Tra gli invitati c’era un ospite speciale, un uomo geniale, abile osservatore e interprete di stati d’animo e di vicende umane da descrivere con un pizzico di ironia e con una mimica unica. Si chiamava Charles Spencer “Charlie” Chaplin, il grande Charlot, che da quell’incontro trasse lo spunto per creare un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale. In casa di André Citroen, in quella riunione riservata in rue Octave-Feuillet, a Parigi, nacque lo spunto per il film “Tempi Moderni”…