Le grandi lezioni dello sport

Dalle vittorie e dalle sconfitte, dal cibo e dagli eroi: quanto si impara
Le grandi lezioni dello sport
Arsenio Pallavicini
4 min

Dovete mangiarne di pastasciutta: così gridava Leonardo Bonucci agli spettatori inglesi che mestamente lasciavano Wembley, nella sera del trionfo azzurro. Dopo aver segnato un gol nella finale, davvero: cosa gli vuoi dire, a Bonucci? Ma, esultanza a parte, come stanno le cose con il cibo e con lo sport? Finisce con Bonucci che trasforma in rivendicazione quanto ci viene mosso a critica - di essere un popolo di pantofolai, dediti al rito casalingo e mammone del piatto di pasta - ma era cominciata in altro modo, con Cristiano Ronaldo che, dopo i due gol contro l’Ungheria, nella prima partita dell’Europeo - alla tenera età di 36 anni, primo giocatore a segnare in cinque edizioni del torneo continentale, con il record delle presenze nei principali tornei internazionali - arriva in conferenza stampa, si siede, e, notate le due bottigliette dello sponsor davanti a sé, getta prima uno sguardo a destra, poi uno a sinistra, poi prende le bottigliette e le sposta il più lontano possibile. Infine afferra la bottiglia dell’acqua e la solleva: acqua, bevete acqua, non Coca Cola. E basta questo gesto, per far crollare in borsa l’azienda. 

Ma perché, vien voglia di chiedersi, la Coca Cola dovrebbe sponsorizzare con la sua bibita zuccherosa una competizione sportiva? Che «c’azzecca»? Moris Gasparri (“Il potere della vittoria. Dagli agoni omerici agli sport globali”, con prefazione di Federico Buffa, Salerno editrice, pp. 188, € 18), lo spiega egregiamente: in America fanno così, e sempre di più provano a fare la stessa cosa qui in Europa. In quel paese, gli stadi, i palazzetti, le arene «sono luoghi pensati per stimolare l’appetito più che per concentrare lo sguardo (la scienza medica li cataloga, non a caso, sotto la definizione di ambienti “obesogenici”)». Capito? I bambini guardano i campioni sognando un giorno di imitarli, mentre gli adulti li vedono così perfetti, così scolpiti, così marmorei che si mettono subito l’anima in pace: un sacrificio del genere non è per me. E giù sorsate, pop corn e hot dog. (Oppure, da noi, tranci di pizza).

Non c’è, però, solo l’America, nel gran libro di Gasparri: c’è lo sport contemporaneo e lo sport antico, le finali dei Mondiali di calcio e le feste olimpiche nell’antica Grecia, Michael Jordan e Teogene, il più grande atleta dell’antichità, la Formula 1 e le corse delle aurighe al Circo Massimo. C’è il potere della vittoria, che dall’atleta si irraggia sulla squadra, sui tifosi, sulla città, sulla nazione, e c’è anche il sapore amaro della sconfitta, raccontata con l’aiuto di David Foster Wallace ma soprattutto incarnata esemplarmente in quella figura assolutamente unica del calcio moderno che è Marcelo Bielsa. Che non ha vinto gran che, ma che è l’unico allenatore al quale sia stato intitolato uno stadio in vita, mentre ancora siede in panchina.

Vale la pena leggere questo libro, se ne cavano un sacco di lezioni. Volete capire che cosa c’è di unico nell’animale umano? Beh, pensate questo: anche gli altri animali giocano, ma l’uomo solo si allena (vallo a spiegare a Antonio Cassano). Volete capirci qualcosa del colpaccio tentato da Agnelli con la Superlega? Allora dovete pensarla come una partita fra differenti modelli di gestione capitalistica del calcio. Volete avere un buon motivo per celebrare Totti? Beh, quello ce l’avete già. Ma se leggete il libro trovate l’enormità dell’impatto globale che ha avuto l’addio di Totti al calcio, con la Roma che diviene il primo club al mondo per numero di visualizzazioni in rete. Poi il libro lo chiudete, e pieni di storie, di imprese, di campioni, non vi resta che ripensare alla Nazionale di Mancini, e a Berrettini nel tempio del tennis, a Wimbledon: il declino dello sport italiano, di cui il libro parla, possiamo augurarci che sia finito? Appuntamento alle Olimpiadi!


© RIPRODUZIONE RISERVATA