Pensi a Roberto Baggio e tornano in mente tante immagini, soprattutto quelle vissute con la maglia della nazionale. La sua doppietta alla Nigeria mentre eravamo già con le valigie pronte per tornare a casa, la rete a Roma contro la Cecoslovacchia con il commento - per una volta meno trattenuto del solito - di Bruno Pizzul, la sua sostituzione dal campo contro la Norvegia dopo l’espulsione di Pagliuca (e il famoso “questo è impazzito”, rivolto a Sacchi), il rigore sbagliato contro il Brasile. E poi le prodezze in serie A, la sua prima rete, subito splendida, nella domenica dello scudetto del Napoli, la sciarpa della Fiorentina raccolta mentre lascia il campo da juventino, dopo essersi rifiutato di tirare un rigore ai suoi viola, quella splendida stagione con il Brescia di Mazzone, e l’immagine straziante a pochi minuti dalla sua ultima partita, quando chiama un cameraman per fargli vedere le condizioni del suo ginocchio, martoriato da troppi infortuni, «vieni a vedere come sto giocando», gli sussurra. Una vita e una carriera da film, quella del campione vicentino. In coincidenza con l’uscita de “Il divin codino”, in onda in questi giorni su Netflix, ecco la biografia di uno dei più grandi protagonisti del nostro calcio, straordinario in campo quanto a volte enigmatico fuori. A Moretti - tra gli autori per dieci anni del bel programma televisivo “Sfide” - è riuscito un azzeccato ritratto di un genio del pallone sempre al limite tra la creazione imprevedibile e la sfortuna più accanita, il racconto di un percorso mai banale, contrassegnato da importanti trionfi - con il Pallone d’Oro del 1993 e i due scudetti vinti - e da cadute imprevedibili (in maglia azzurra, tre Mondiali giocati e tre eliminazioni ai calci di rigore), da gol leggendari e fragilità impensate. Resta, fortissima, l’immagine di un campione e di un uomo dalla personalità sempre controcorrente. «Non bastano i colpi per essere un campione - ha detto recentemente Moretti - serve l’anima. E Baggio in particolare è stato così amato per la sua umanità e per la capacità di raccontare le sue fragilità».
ROBERTO BAGGIO, il Divin Codino, la storia di un campione dentro e fuori dal campo; di Claudio Moretti, Newton Compton Editori, 290 pagine, 9,90 euro.
Storia di un campione che non si è mai sentito tale, potrebbe essere il sottotitolo di questa bella autobiografia, scritta da Gianni Bugno con l’aiuto di Tiziano Marino, che già si era distinto nel mettere su carta i pensieri di Cunego, altro ciclista di valore, e di Tatanka Hubner, bomber dei poveri. L’asso di Monza - anche se nato nella Svizzera tedesca - ha vinto tanto nei suoi 14 anni di carriera (due campionati del Mondo, un Giro d’Italia, una Milano-Sanremo, un Giro delle Fiandre, due titoli italiani su strada…) eppure conserva un ammirevole understatement, che gli fa dire, all’inizio del libro, «di quelle vittorie non conservo nulla. Maglie, coppe, trofei, ho regalato tutto. Non ho nostalgia di ciò che è stato, non mi è mai piaciuto guardare al passato…». Eppure Bugno è stato uno degli ultimi grandi interpreti del ciclismo più versatile, in grado di vincere le grandi corse a tappe (dominò un Giro indossando la maglia rosa fin dalla prima tappa) come le classiche di un giorno, di stupire in montagna come negli arrivi in gruppo, per non parlare delle cronometro, tutte qualità che al suo carattere piace però sminuire. «Non ero uno specialista. Non ero forte in salita, non ero forte in volata, non ero forte neppure a cronometro. Mi arrangiavo un po’ dappertutto. E in bici cercavo di fare quello che fanno tutti: restare il più possibile in equilibrio per non cadere». Capito il tipo? Eppure ne ha fatta di strada, il bambino stregato alla Tv dalla vittoria di Moser nel Mondiale in Venezuela, capace di tenere testa anche ai professori del suo liceo pur di continuare a correre, e qui racconta la sua vita su due ruote, i trionfi, le delusioni, i campioni che ha sfidato e battuto, da Jalabert a Indurain, da Chiappucci a LeMond. Con un atteggiamento sempre a metà tra il distaccato e il sereno, cosa che gli riconosce nella prefazione un patito della bicicletta come Romano Prodi. Ora Bugno è presidente dell’associazione mondiale dei ciclisti professionisti e pilota elicotteri. Sempre alla ricerca, immaginiamo, dell’equilibrio ideale.
PER NON CADERE, la mia vita in equilibrio; di Gianni Bugno con Tiziano Marino; edizioni Baldini+Castoldi, 190 pagine, 17 euro.