I silenzi di Zoff e il Gioco Interiore nel Golf
«In fondo, se dovessi cercare un filo che leghi tutti gli episodi e gli uomini importanti della mia vita, i miei compagni di viaggio, da mio padre a mio nipote, da Bearzot a Scirea, di certo questo filo sarebbe il silenzio, il pudore delle parole». Per essere uno così riservato, come si è descritto nell’ultima pagina, Dino Zoff deve avere fatto molta fatica a raccogliere così tante parole, in questo bel libro che non è soltanto la storia del portiere simbolo del nostro calcio ma anche il racconto di oltre mezzo secolo del nostro sport più popolare visto da un osservatorio privilegiato, come è quello del portiere della squadra più vincente del calcio italiano e della Nazionale. Ne esce un ritratto di un personaggio tutto d’un pezzo, di altri tempi verrebbe da dire, poco incline all’autocelebrazione («Ho fatto il portiere. L’ho fatto alla grande. Sono stato un uomo fortunato. Basta così») ma capace di slanci lirici, come quando all’inizio riconosce di aver fatto il portiere non solo «per isolarmi, per ricordarmi chi ero e per mostrarmi a me stesso» ma anche per godere del profumo dell’erba, «quell’odore vegetale tanto intenso, pulito e infantile, che per me vorrà sempre dire eccitazione, paura e dolore», quell’erba dove ormai non si tuffa più ma che continua a frequentare grazie al suo amato golf. La prima parte del libro è la più bella: l’infanzia a Mariano del Friuli, la scelta di giocare in porta, gli allenamenti con nonna Adelaide («tirava le prugne in aria e io dovevo prenderle al volo») gli inizi non facili (lo chiamavano zuff, come la zuppa che si faceva in tempo di guerra, per indicare un piatto povero, che sa di poco) poi l’approdo all’Udinese e al calcio dei grandi, l’imbarazzo di rivedere al cinema - nei filmati della Settimana Incom - le cinque reti incassate al debutto in serie A contro la Fiorentina (per la cronaca, il giovane Zoff non resse all’emozione e lasciò subito il cinema…) fino all’arrivo a Napoli, che lo accolse con un abbraccio e un affetto che probabilmente non avrebbe ritrovato più in carriera. La seconda parte la conosciamo meglio: la Juventus, i trionfi ma anche le critiche ricevute in Nazionale, la sua nuova carriera da allenatore, interrotta a suo parere anche e soprattutto come conseguenza di quel deprecabile intervento di Berlusconi, subito dopo la finale persa nell’Europeo del 2000, che lo portò ad abbandonare la panchina della Nazionale. Tutto senza vantarsi troppo dei suoi tanti trionfi, nel nome della cultura del lavoro e della serietà, caratteristiche anche di Scirea e Bearzot, due come lui. Sullo sfondo, ma neanche tanto, una galleria di personaggi eccezionali con i quali Zoff ha incrociato la sua carriera: in campo - Sivori, Pelè, Altafini, tutti gli italiani più forti… - ma anche fuori, come Pertini, Gheddafi, Agnelli, il Papa Wojtyla. Alla fine, il libro lascia la sensazione di un uomo in pace con se stesso, che può lasciarsi cullare dai suoi ricordi. Come quando rievoca la notte dell’11 luglio 1982, dopo il trionfo spagnolo: «Cosa fecero gli altri non lo so, io e Scirea ci chiudemmo nella nostra stanza ad assaporare il momento, nell’unico modo che ci era consono: in silenzio». Manca solo la tromba di Nini Rosso, non a caso grande amico di Zoff, ad intonare l’immortale “silenzio“.
DURA SOLO UN ATTIMO, LA GLORIA, la mia vita; di Dino Zoff, Mondadori Editore, 172 pagine, 17 euro.
Dopo il grande successo de “Il gioco interiore nel tennis” (più di un milione di copie vendute) Timothy Gallwey - ideatore dell’Inner Game, metodologia di ricerca e sviluppo delle eccellenze personali e professionali, adottata da molte grandi aziende in tutto il mondo - si è dedicato ad un altro sport che richiede un rapporto molto forte tra corpo e mente, il golf. La prima edizione di questo libro - più volte aggiornato - è datata 1979 e finalmente è stata tradotta in italiano. Senza essere per forza Tiger Woods o McIlroy, chiunque abbia calpestato almeno una volta un green sa bene quanta concentrazione è necessaria in qualunque colpo, quali siano le tensioni da domare o i demoni da scacciare. Gallwey, considerato il primo studioso ad applicare allo sport i principi della moderna psicologia, prova ad insegnare il suo metodo, fondato sulla ormai celebre “consapevolezza rilassata”, un metodo che invita a lasciarsi andare ed a seguire il proprio istinto, immergendosi completamente nel “momento”, in modo da sconfiggere anche quelli che lui indica come i nostri avversari più temibili, ovvero l’autocritica più feroce e il pensiero negativo. Sicuramente più semplice a dirsi che a farsi, ma Gallwey ci invita a osare, a spingerci al di là delle colonne d’Ercole delle nostre paure. Questo naturalmente resta un libro sul golf, e gli appassionati potranno districarsi tra la tecnica indietro-tiro-stop e il gioco corto (putt e chip interiore), tra gli esercizi per aumentare la potenza e i consigli di Jack Nicklaus su come visualizzare al meglio il bersaglio da raggiungere, ma è anche un testo, come il precedente sul tennis, che va oltre la pratica di uno sport. Il metodo di Gallwey dovrebbe infatti aiutarci a migliorare il nostro rendimento anche sul lavoro e nella vita. Perché in ogni campo la prima partita da vincere è sempre quella all’interno della nostra mente. Sconfiggendo gli atteggiamenti mentali negativi, si potrà cercare di sfruttare al massimo ogni nostra risorsa fisica e agonistica, nel tentativo di sviluppare il potenziale agonistico e raggiungere successi importanti. Provare per credere.
IL GIOCO INTERIORE NEL GOLF,per vincere sul green e nella vita; di W. Timothy Gallwey, Ultra Edizioni, 237 pagine, 18,50 euro.