Ora che il miracolo si è compiuto, come spiegarlo? Eccolo il vero problema: come convincervi che sia successo davvero e che Kimi Raikkonen sia il campione del mondo, in aggiunta alla Ferrari prima tra i costruttori? Qui a Interlagos la torcida brasiliana era abbacinata dalla pole di Felipe Massa, e nella cecità nazionale lasciata in eredità dai tre miti del motore - Fittipaldi, Piquet, Senna - ci sta, anche. Ma gli altri? Tutti davamo per certo che Lewis Hamilton sarebbe diventato per la prima volta campione: era acclarato dalle classifiche, era annunciato negli sfacciati favoritismi che per tutto l’anno Ron Dennis gli ha riservato. L’intera Gran Bretagna lo voleva campione, a forza. Figurarsi che qui a San Paolo, per vigilare che non ci fossero pasticci in suo favore, la Federazione Internazionale ha ficcato un ispettore argentino, un certo Carlos Funes, nella gabbia, pardon nel box della McLaren. Ma vedi che già ci stiamo girando attorno? Perché non è facile spiegare come uno sia riuscito nell’impresa titanica di perderlo questo Mondiale, e l’altro di vincerlo.
Alla vigilia la casistica parlava chiaro: in dieci righe elencava i casi in cui Lewis sarebbe stato campione, in cinque le possibilità di Alonso, in un paio quelle di Kimi. Ma dai, era chiaro che Kimi non ce l’avrebbe fatta mai: era possibile, teoricamente, quanto lo sarebbe stato mettere i pezzi di un modello di veliero in una scatola e tentarne il montaggio agitandola. Senti qui cosa dovrebbe succedere: Raikkonen dovrebbe arrivare primo, e vabbè, ce l’ha fatta due settimane fa in Cina e altre quattro volte quest’anno. Se ci riesce, il secondo candidato a questo titolo intriso di veleni in casa McLaren, Alonso, dovrebbe arrivare terzo o peggio. E neanche questo puoi escluderlo. Se le due cose s’incasellano deve verificarsene una terza: Hamilton non dovrebbe piazzarsi tra i primi cinque. E qui i pezzi della costruzione non combaciano più. Invece ogni cosa va al proprio posto in un modo che la Ferrari neanche poteva sognare: Raikkonen vince, Alonso è chirurgicamente terzo e Hamilton, guardalo là, è sceso nelle sabbie mobili del settimo posto. Come fa la chiave a girare in una toppa che non è la sua? Gira eccome e fa clac quando, pochi istanti prima del via, Fernando Alonso soffia nell’orecchio del direttore sportivo Stefano Domenicali: «Ditegli di starci alla larga». Cinque parole, un messaggio micidiale per chiarezza. Alonso avverte che attaccherà il suo compagno di squadra con le cattive, e chi è dalle loro parti potrebbe andarci di mezzo. Fernando, lì in quella McLaren che stravede solo per il suo “rookie of the year”, si contorce all’idea che il ragazzino diventi campione. Piuttosto un altro, oh sì, piuttosto uno della Ferrari. Quanto veleno!
Nessun Mondiale di Formula 1 dovrebbe essere come questo del 2007: intossicato da spiate e tradimenti, da livori e sospetti, troppo giocato nelle aule dei tribunali. E tutti dovrebbero essere come questo: baciato da incertezza e colpi di scena, fino a farne la casa dell’impossibile. Bello che siano la Ferrari e Raikkonen a incassarne i dividendi. E’ arrivato quest’anno a Maranello ed è stato accolto come la reincarnazione di Schumi, ma non è così: Michael sta a Kimi come la flut al boccale dell’Oktoberfest, come il piatto ra?nato a quello da camionista, come le congratulazioni formali al gavettone di ghiaccio. Appunto: Iceman. Raikkonen ha avuto la forza di non essere Schumacher e la Ferrari è tornata a vincere, dopo l’inebriante filotto di Mondiali firmati da Michael tra il 2000 e il 2004. Gliel’hanno fatta sudare eh? Come non bastassero i veleni della Spy Story - al primo GP in Australia non lo sapevamo, ma il Corvo Rosso già informava la concorrenza fornendole 780 dettagliatissime e illustratissime pagine di progetti Ferrari -, c’è stato pure a fine gara il giallo delle benzine fredde che ha tenuto l’esito del Mondiale in sospeso fino a notte. E tocca pure spiegare che il carburante di BMW Sauber e Williams era sì freddo, e se la giuria avesse certificato che lo era troppo, dall’ordine di arrivo sarebbero stati cancella Paratati con un tratto di penna il quarto il quinto e il sesto (Rosberg, Kubica e Heidfeld, quindi Williams e due BMW Sauber), Hamilton sarebbe risalito quarto e ti saluto festa rossa. Fino a quell’ora tarda una lunga, lunghissima attesa davanti all’ufficio della giuria: notte tiepida ma per niente godibile, io di sentinella, accucciato su un rugoso gradino di cemento e ingobbito sul computer, Marco Evangelisti a pigiar duro sui tasti in sala stampa, la redazione in fibrillazione a Roma. Infine l’ingranaggio si è sbloccato: ordine di arrivo confermato. E tutto è andato al suo posto, su precisa richiesta di un destino che aveva già mostrato da quale parte stesse. Tale destino si era già chiaramente palesato alla partenza della gara, anzi di più: nell’ultimo o mese.
A due gran premi dalla fine Hamilton aveva vinto il titolo, praticamente: non ancora su Alonso ma su Raikkonen sì, visto che aveva 17 punti di vantaggio (la vittoria ne vale dieci eh? Figurati se fa due passi falsi su due, ci dicevamo, e Kimi vince due volte). Poi a Shanghai s’era impastato nella sabbia all’ingresso dei box per colpa di gomme da bagnato troppo consumate, cioè per colpa sua: un classico errore da debuttante, quale in effetti è. Quindi questo folle Gran Premio del Brasile. E’ normale che alla partenza Massa, dalla pole position, chiuda Hamilton per far sfilare via Raikkonen. Ma sì, questa alla Ferrari se l’erano studiata a tavolino. Succede però che Alonso sferri l’assalto piratesco al compagno, e questa Fernando se l’era preparata da solo, con dentro un anno di rabbia repressa. E poi succedono le cose impossibili, combinazioni di eventi che solo gli dei della velocità sono in grado imbastire, stavolta con un filo rosso: Hamilton che alla prima curva viene aggredito e superato da Alonso e poi alla quarta, cercando di riprendersi la posizione, finisce lungo nella via di fuga e frana ottavo; lo stesso Lewis costretto a un frenetico reset dell’elettronica in black-out all’ottavo giro (spegnere e riaccendere, suggerirebbe un imperturbabile tecnico informatico), ed è altro terreno che viene a mancare sotto ai piedi. Ora è diciottesimo! Per arrivare quinto e prendersi il Mondiale dovrebbe fare il fenomeno, ciò che gli riuscirebbe se una frenata di Kubica a ruote fumanti si concludesse nelle terga della Williams di Rosberg (collisione evitata di un dito), se Massa non facesse passare Raikkonen (operazione compiuta al pit stop per anestetizzare il tormento di Felipe e placare l’intero Brasile) oppure, detto col senno di poi, se le famigerate benzine fredde fossero risultate un po’ più fredde. Se la tribuna in questo pomeriggio è rapita dalla pole del suo figlioccio e gli chiede la vittoria, in sala stampa tira un’aria diversa. Giornalisti compassati e imparziali: non pervenuti. Quelli inglesi sudano e sofrrono per Hamilton e la McLaren, o almeno la mezza McLaren che per loro deve vincere - la parte di Alonso è la bad company -, i brasiliani e altre nazioni terze tifano per Raikkonen, non in quanto Raikkonen e forse neanche in quanto ferrarista, ma per veder perdere il giovane bullo, che nelle prove libere aveva rallentato Kimi fin quasi a buttarlo fuori, e in qualificazione lo aveva nuovamente danneggiato relegandolo in seconda fila (per la cronaca: come sportivissimo segno di apprezzamento, stanotte centocinquanta tifosi spagnoli sono andati a rumoreggiare sotto le finestre di Hamilton per fargli saltare il sonno e la pazienza). I giornalisti italiani neanche te lo dico, come non ti dico di Heikki Kulta, punta d’attacco dei giornalisti finlandesi, un bimbo biondo di cinquant’anni con tanto di braghette corte, cappellino storto e leccalecca, un mito nel nostro giro. Ora il flash di Kimi attaccato alla bottiglia di champagne, nel tradizionale turbinio di striscioline di carta che potrebbero pure essere le pagine della Spy Story salvate dal barbecue e opportunamente riutilizzate. E della sua faccia buona per le vincite alla lotteria e la casa che brucia, mentre lesina sulle parole: «La mia vita? Boahw, potrebbe non cambiare per niente. O forse sarò più popolare e qualcuno potrà scrivere su di me ancora più stronzate». Che gli dei della velocità ce lo mantengano in Formula 1 più tempo possibile, anche fino al 2020. Purché non si debba aspettare tanto per un nuovo Mondiale della Ferrari.