«Aaaa-driaa-no, Aaaa-driaano…». Sono tre ore e passa che soffriamo sotto il sole cocente di Roma, a sgolarci e a incitare. Siamo in ottomila, pigiati sul campo Centrale del Foro Italico, quello dalle gradinate di marmo di Carrara costruito negli Anni Trenta e ora “arricchito” da tribune di legno e tubi Innocenti per contenere più pubblico. E siamo tutti qui, a rischio insolazione, per il nostro idolo, Adriano Panatta, il figlio del custode del Tennis Club Parioli di viale Tiziano, il bel ragazzo romano e romanista (in una recente intervista ho letto dei suoi miti giovanili in giallorosso: Losi, Manfredini, Angelillo ma anche Egidio Guarnacci, mediano tutta sostanza), che finalmente sta per compiere il passo tanto atteso verso la gloria tennistica. È il 30 maggio del 1976, nella finale degli Internazionali d’Italia il nostro campione è in vantaggio per due set a uno (e 5-1 al tie break del quarto set) sul grande favorito e testa di serie numero 1 del torneo, Guillermo Vilas, e da domani il tennis italiano non sarà più lo stesso. Ma ci sono altri due personaggi da presentare, entrambi seminascosti nello spazio che si trova alle spalle del giudice di sedia, che oggi è Bertie Bowron, il mitico pensionato inglese che gira il mondo con il suo camper ed è benvoluto da tutti i campioni. Mario Belardinelli, cappelletto bianco in testa, sembra seguire in trance i colpi di Panatta. Ha 56 anni e da dieci è il mentore e l’allenatore di Adriano, colui che scoprì un giorno, sono parole sue, «un ragazzo con un servizio molle, dal tennis appoggiato, che arrivava sempre tardi sulla palla. Aveva possibilità enormi, ma non era sorretto dal fisico». C’è poi papà Ascenzio, che dopo aver lasciato il Parioli lavora come operaio specializzato presso il centro Coni al Tre Fontane. «Adriano è il mio primo figlio, l’ho chiamato come un imperatore romano ma non credevo che potesse diventare così forte, non mi importava neanche. Mi auguravo che diventasse un brav’uomo, questo sì, che studiasse e facesse le scelte giuste. E il Padreterno ci ha aiutati». La sosta al cambio di campo sembra infinita, forse Adriano sta ripensando alle tante occasioni sciupate in carriera. A luglio compirà 26 anni, è il numero 1 d’Italia ma i suoi grandi risultati si possono contare sulle dita di una mano. Le vittorie a Bournemouth e Stoccolma, una semifinale al Roland Garros. Insomma, finora ha vinto molto poco per la qualità del suo tennis sempre altamente spettacolare, teso alla ricerca del punto, che si regge su un gran servizio, un ottimo dritto e delle volée al bacio (quella alta di rovescio, giocata con le spalle alla rete, ha pure un nome tutto suo, Veronica). E poi quella facilità nel fare le smorinzate… Qualche anno fa ha fatto impazzire così a Parigi l’astro nascente Borg, che sulla terra sembra imbattibile.
Il problema è che Panatta è troppo alterno nei risultati, poco propenso a faticare in allenamento. E poi è proprio un gran bel pezzo d’uomo e le belle ragazze non gli sono mai mancate nei primi anni di carriera, lo sanno tutti che lo hanno fin troppo distratto dai campi, almeno fino al matrimonio con Rosaria. Gira un aneddoto, a tal proposito. Un giorno un suo tifoso lo incontra all’uscita di un cinema, con Panatta c’è la fidanzata del tempo, una splendida Loredana Bertè con minigonna stracorta. Il tifoso squadra la coppia, poi se ne esce di cuore verso il campione: «Adria’, vuoi pure vince…». Ecco, forse il nostro sta pensando che questo di Roma - dove tante volte ha già fallito - è l’ultimo treno a cui può afferrarsi per dare una svolta alla sua carriera, per cancellare le ultime terribili critiche ricevute solo pochi mesi fa, dopo la doppia scon?tta in Coppa Davis contro i non irresistibili francesi Jau? ret e Dominguez. Anche il tennis italiano (e tutto quello che gli ruota attorno) sta aspettando un nuovo profeta, dopo gli anni di mediocrità seguiti al ritiro di Nicola Pietrangeli, il due volte campione del Roland Garros che ora fa il capitano di Coppa Davis. E Panatta ha tutto per impersonare il personaggio capace di entusiasmare i tifosi di casa nostra come solo i calciatori sanno fare, di allargare ai meno abbienti la base dei tennisti del futuro, di compiacere, con il suo tennis e il suo ? sico, anche il pubblico della televisione. Ma è ora di riprendere il gioco.
Panatta si fa consegnare due palline bianche dai raccattapalle, si dà la spinta con il classico armonioso movimento di servizio e scaglia con la Wip che porta il suo nome l’ennesimo ace. Siamo 6-1 nel tie break, Adriano ha cinque match point per chiudere il match. Chissà se in questo momento pensa che solo cinque giorni fa, nel primo turno contro l’australiano Warwick, di match point lui ne aveva dovuti annullare 11, una cosa mai vista a questi livelli. Un inizio in salita nel torneo ma anche un segno del destino: e dopo aver superato facilmente Zugarelli e Franulovic, nei quarti un altro colpo di scena, contro Harold Solomon, terraiolo puro, che sul 5-4 e servizio nel terzo set ha avuto la cattiva idea di s?dare prima l’arbitro di sedia - per una chiamata a suo parere sbagliata - e poi tutto il pubblico del Foro. Risultato? Un coro in?nito di “scemo, scemo” e l’americano che mette sotto il braccio le sue racchette e se ne va. In semi?nale, invece, tutto liscio: ieri Panatta ha travolto (6-2 6-4 6-4) John Newcombe, gran tennista ma ormai trentaduenne. Torniamo alla partita. Adesso è Guillermo Vilas a dover servire nel tie break sull’1-6. E’ nervoso per l’occasione persa, per i tre set point di ?la sprecati pochi minuti prima che l’avrebbero portato al quinto set, verso una probabile vittoria (a di?erenza del romano, ha un ?sico instancabile, adatto alle maratone tennistiche). Argentino di Buenos Aires, un braccio sinistro che fa paura, ha 23 anni e si è rivelato al grande pubblico proprio qui a Roma, due anni fa, raggiungendo da semi sconosciuto le semi?nali. È uno degli interpreti della new wave del tennis, basata sul gioco di pressione da fondo campo e sulla resistenza ?sica. Due anni fa un ragazzo di St. Louis, Jimmy Connors, ha indicato la strada spazzando via senza pietà - nelle ?nali di Wimbledon e Forest Hills - il tennis dei gesti bianchi di Ken Rosewall, pensionando così l’era dei Grandi Australiani. Contemporaneamente è arrivato Borg, con i suoi dritti arrotati in top spin e il rovescio a due mani, molto di moda ormai tra i maestri dei circoli, a dominare due volte di ?la il Roland Garros. Vilas se la batte con loro, ma sembra sempre in seconda ?la, anche come personalità. Se Jimbo Connors è il guerriero maleducato e l’orso svedese il totem imperscrutabile, Guillermo è timido e gentile, scrive poesie che probabilmente non passeranno alla storia e fa collezione anche lui di ?danzate. Qui a Roma è il favorito, perché Borg ha preferito un torneo meno faticoso (e probabilmente qualche marco sottobanco) in Germania, mentre Connors - che sulla terra fatica - ha dato a tutti appuntamento alla stagione inglese su erba. Guillermo ha dominato facilmente Panatta nel primo set, con i suoi colpi s?ancanti da fondo campo e i passanti al bacio. Gianni Minà, il giornalista grande amico di Cassius Clay, si intrufola a un cambio di campo vicino al nostro, che gli sussurra al microfono: «Se lui continua così, è un gran casino. Io devo migliorare, ma Vilas deve cominciare a sbagliare qualcosa».
E’ quello che succede nel secondo set, Panatta vince facilmente un paio di giochi, guadagna ?ducia e risveglia l’anima battagliera di noi spettatori, cosa che, si capisce subito, infastidisce, e molto, Vilas. Il secondo set si decide in un tie break romanzesco. Adriano rimonta da 3-5 ma è il set point a segnare la svolta del match: uno scambio furibondo, con Panatta che colpisce in tu?o una volée, si rialza, replica d’istinto alla bordata di rovescio che gli arriva dall’argentino e poi chiude con un dritto al volo. L’urlo del Foro è incredibile, ci alziamo tutti in piedi, mi scivola lo zaino militare comprato al mercato di Via Sannio (immancabile, in alternativa alla borsa di Tolfa, per ogni diciottenne che si rispetti) che conteneva il Corriere e qualche avanzo di panino e ?nisce sulla schiena dello spettatore che è davanti a me. Ma non fa niente, ci guardiamo e ci abbracciamo, come fossimo in Curva Sud, anzi al Colosseo. Adriano è ormai un altro giocatore rispetto al timido inizio, e vince il terzo set facilmente. Dopo la pausa, la partita si trasforma in un braccio di ferro, in un saliscendi di emozioni ?no al nuovo tie break, che abbiamo lasciato sul 6-1 per Panatta. Serve Vilas, che poi prova una smorzata insensata, come se non volesse prolungare la sua agonia; il nostro campione ci arriva facilmente e piazza il suo dritto proprio all’incrocio delle righe.
È ?nita (2-6 7-6 6-2 7-6) Panatta può ?nalmente gioire e salta con le braccia tese verso l’alto. Gli ottomila del Foro esplodono in un unico grido di gioia, mentre un centinaio di tifosi si rovescia in campo, frenato a fatica dai carabinieri. Panatta si getta tra le braccia di Belardinelli, mentre papà Ascenzio mostra orgoglioso al pubblico la pallina del match-point, che è riuscito miracolosamente ad acciu?are, strappandola a un raccattapalle. Un romano “de Roma” vince ?nalmente al Foro Italico, dove un azzurro (Pietrangeli) non trionfava dal 1961. Basta polemiche sul Panatta play-boy, sul “campione a metà”. «A chi dedico la vittoria? A me stesso», ringhia Adriano, poi i tifosi che sono ancora sul Centrale lo strappano ai microfoni e lo portano in trionfo, mentre il buon Vilas, scappato dopo la stretta di mano ?nale, ha scansato la premiazione ed è già sotto la doccia. E noi tifosi? Rossi in volto, svuotati di energie come solo una partita di tennis da tre ore e mezza riesce a fare, ci incamminiamo stanchi verso l’autobus, che dal Lungotevere ci riporterà a casa. Mi rammarico per non avere avuto la prontezza di gettarmi in campo con gli altri invasori, ma già penso al Roland Garros, che comincerà domani. Panatta ci arriverà stanco, e poi a Parigi ci saranno tutti, anche quei campioni come Borg, Ashe e Orantes che hanno saltato Roma. Però chissà, fosse davvero cominciato l’anno d’oro di Adriano...