Spalato,31 marzo 1988: in un’amichevole contro la Jugoslavia, Paolo Maldini debutta con la maglia della Nazionale. Non ha ancora vent’anni, ma già la personalità e il carisma del fuoriclasse. Un debuttante travestito da veterano. Partita abbastanza noiosa, nel piccolo stadio, ma utile a Vicini che sta costruendo la squadra per gli Europei di giugno in Germania. Primo tempo, 1-1, gol di Vialli dopo dieci minuti, pareggio di Jakovljevic in chiusura. In campo ci sono molti dei “figliocci’ di Azeglio Vicini, che lui - il Commissario tecnico chiamato a rilanciare l’eredità di un mito come Enzo
Bearzot - ha travasato in Nazionale, dopo averli cresciuti nella sua Under 21, finalista nell’86 contro la Spagna agli Europei di categoria. C’è Walter Zenga in porta, estroverso e simpatico guascone; lo zio Bergomi fa da balia a Francini,
Baresi e Ferri; e poi De Agostini, De Napoli,Donadoni e Giannini, non ancora “principe”; davanti,Vialli e Mancini: chi avrebbe pensato allora che trent’anni dopo si sarebbero ritrovati in azzurro, il primo capo delegazione della Nazionale, il secondo come ct della rinascita dopo il disastro della mancata qualificazione ai Mondiali del 2018. Vicini scambia qualche parola con Sergio Brighenti, il suo vice, che noi chiamavano affettuosamente Briganti perché quando arbitrava le partite di allenamento a Coverciano e non si riusciva a fare gol contro i ragazzi della Fiorentina, capiva subito l’antifona e si inventava il rigore sbloccatutto.
«Riscaldati, Paolo, entri tu»: era più emozionato il buon Azeglio, eravamo più emozionati Gigi Riva ed io a bordo campo, dello stesso Maldini che fino ad allora aveva giocato soltanto nell’Under 21 guidata da un padre severo e pragmatico come Cesarone. Dopo otto minuti del secondo tempo, si inaugura l’era di Paolo Maldini: un abbraccio a Francini mentre lascia il campo ed entra lui, capelli lunghi, spavaldo senza presunzione, sicuro di sé senza arroganza. Chi lo aveva seguito da ragazzo, ne conosceva il temperamento, la padronanza del ruolo, l’eleganza delle giocate. E il grande cuore a disposizione della Nazionale, improvvisamente diventata anche sua, non più un miraggio. Dall’alto dell’anzianità di servizio (ma anche lui aveva solo 25 anni all’epoca), ci pensa lo “zio” a metterlo a suo agio sul campo: Bergomi guida la difesa, detta i movimenti sul campo, incoraggia Maldini a non mortificare quel suo slancio naturale, di terzino che allora si chiamava fl uidifi cante e oggi esterno difensivo, anzi per gli amanti del “covercianese” il quinto di difesa: cambiano le definizioni, resta la sostanza. Alla Jugoslavia di Stojkovic, Pancev, Savicevic sta bene pure il pareggio contro una banda di “affamati” in cerca di gloria, ma questa giovane Italia di Vicini non si accontenta. Il ct dà istruzioni al regista della squadra, Giannini, per sfruttare al meglio la velocità di Vialli; chiama a bordo campo Maldini togliendogli qualsiasi freno sulla fascia destra. E insieme a Donadoni, su quella corsia laterale Maldini schiaccia la Jugoslavia al limite dell’area. Ma finisce 1-1, senza altri gol.
Per Paolino, è un esordio promettente. Catapultato sul ribalta del calcio internazionale, davanti a un centinaio di colleghi giornalisti abitualmente (a quei tempi!) al seguito della Nazionale, Maldini non smentisce il marchio di fabbrica. È abbastanza frastornato quando esce dal campo a fine partita, cerca consenso tra compagni e staff tecnico, abbraccia Gigi Riva con il quale da quel giorno si stabilisce un rapporto di ferro, fatto di stima e di aff etto. Poche parole, sono più eloquenti certi sguardi quando c’è da risollevare il morale, da capitano vero. Per esempio, dopo la sconfitta contro la Francia agli Europei del 2000 a trenta secondi dal titolo; o due anni dopo - dall’altra parte del mondo, Corea-Giappone - truffati da un delinquente corrotto e prezzolato come Byron Moreno, un killer vestito da arbitro. Nel 2004, nonostante la corte sfrenata di Trapattoni, Paolo decide di non partecipare agli Europei in Portogallo. Chiude con quattro Campionati del Mondo, tre Europei, 74 volte capitano, 126 presenze, preceduto soltanto da Cannavaro e Buffon. Con il Milan ha vinto tutto, con la Nazionale niente. Un cruccio, direi un’ingiustizia, che insieme a lui si portano dentro tutti quelli che amano il calcio. E in modo particolare chi ha condiviso con Paolo quasi vent’anni di azzurro a testa alta.