Ecco, esattamente così dovrebbe essere la giornata perfetta dello sci alpino: il quadro naïf in cui un pittore dall’animo semplice ha incastrato, tra un cielo blu come il mare e una distesa bianco latte, gente colorata che fa festa. L’eroe del giorno no, lui è appena crollato sulle ginocchia, in lacrime, svuotato dell’ultima stilla di energia. Alberto Tomba si getta neve negli occhi. Il suo primo obiettivo in questo istante preciso: nascondere il pianto all’ingordigia di cameramen e fotografi. S’è appena preso l’oro del gigante, s’è appena preso l’Olimpiade di Albertville che aveva già da giorni distorto in “Albertoville”, la città di Alberto.
Martedì 18 febbraio 1992. L’aria è tanto tersa da stordire. La distanza inganna e il massiccio della Bellevarde è qui, lo puoi toccare allungando una mano. I 10 gradi sotto zero sono belli secchi, un rassicurante teporino al confronto dei -20 del primo mattino. Alberto sembra averla spostata, la montagna: non c’è traccia di spacconeria, non lo spazio per uno dei suoi calembour, neanche la forza per un flebile sorriso. «Sto male, ho le formiche ai piedi», sussurra. La barba di tre giorni ne accentua l’aspetto disfatto.
Dai bordi della spettacolare Face de Bellevarde pendono quindicimila tifosi impazziti, saliti a tappe forzate, nella bufera. Solo il giorno prima neve da lupi e corvi a volo basso. Un impianto era rimasto aperto per le ricognizioni pre-gara degli atleti, ma io avevo incrociato solo fantasmi imbacuccati. Visibilità meno di poco, e come in un fi lm catastrofi sta, colpi di cannone a intermittenza sembravano evocare il giorno del giudizio: si sparava sulle creste pericolanti per prevenire le valanghe. L’incubo bianco aveva trasformato gli ampi parcheggi ricavati a Val d’Isère in un pianoro a trama goffrata. Il paradiso che abbiamo ora davanti agli occhi era inimmaginabile, solo poche ore fa.
Non è cominciato male il mio primo grande evento sportivo, l’Olimpiade di Albertville dove il direttore Italo Cucci mi ha paracadutato al fianco di due vecchie volpi: Aldo Pacor e Alfonso Fumarola. Se il secondo - grande esperto di tennis, nuoto e squali, argomento da evitare in sua presenza per non esserne travolti è dedito allo sci di fondo, Pacor è da sempre l’uomo dello sci alpino, un veterano, un incursore che vince rompendo gli schemi. Il giornalista avvicina il campione e gli pone domande, lui ha una tattica diversa: gli aff erra l’avambraccio e glielo strizza, annunciandosi con un ghigno e tirandolo a sé. Provoca, parte sempre con un «ehehehe!» e la tecnica è micidiale: Aldo porta sempre a casa qualcosa di stuzzicante. Il caporedattore Andrea Girelli prima della partenza mi ha dettato le regole d’ingaggio: “Tu marchi Tomba. Se lui è a Val d’Isère, tu sei a Val d’Isère, lui a Sestriere, tu a Sestriere”. E se questo sparisce? “Tu sparisci con lui”. Ah, beh.
Tomba è la mia tombola, da godere: sono dentro la giornata più grande di sempre per lo sci italiano, due ori e un argento olimpici in meno di cinque ore. Deborah Compagnoni s’è presa il titolo del superG un paio di ore fa, Tomba è il primo sciatore che riesce a difendere l’oro olimpico, dopo il doppio trionfo di Calgary 1988, gigante e slalom. E nel pomeriggio l’argento della staffetta 4x10 chilometri con Pulià, Albarello, Vanzetta e Fauner completerà la collezione.
Tomba, in realtà, si scinde in due figure distinte: l’atleta e il personaggio. In entrambi i casi, livello inarrivabile.
L’atleta ha attorno uno staff che alla vigilia aveva in lui una solida certezza: il tecnico Gustavo Thoeni, il preparatore fisico Giorgio D’Urbano, tutti fino ad Arturo Maiolani, l’uomo che parla agli sci del campione, lo indicavano oro sicuro, così senza scaramanzie: qualcosa vorrà dire. Altri nomi, tutti per l’argento o il bronzo: dicevano «un norvegese» riferendosi a Furuseth, a un giovanissimo Aamodt o a Didrik Marksten, «un francese» principalmente per citare Piccard. E poi c’erano fenomeni sparsi: gli austriaci Mader e Salzgeber, l’inossidabile Marc Girardelli che sembra destinato a non vincerlo mai, un oro olimpico, e il muratore Paul Accola, il fenomeno dell’anno, in corsa per la Coppa del Mondo ma fuori dai gangheri in questi giorni olimpici. Ha intrapreso un’astiosa polemica con i tecnici svizzeri che non l’hanno voluto nel quartetto di discesa, e le sue migliori energie se le sta bruciando così.
Il personaggio Tomba, se possibile, è ancora più gigantesco: Alberto aveva troncato il Festival di Sanremo nel 1988 ed è sempre in grado di ammaliare con i suoi giochi di parole o di numeri, anche sciocchini ma di gran presa, nazionalpopolari. Per raggiungere la Val d’Isère sotto la neve, i quindicimila hanno formato un serpentone che s’è infi lato sotto il Frejus, ha percorso l’autostrada A430, ha passato Moutiers e Bourg Saint-Maurice e poi ha preso a salire, arrancando sotto la neve sulla strada verso il Col de l’Iseran. Macchine e camper dall’Emilia-Romagna, ma qualcuno anche dalla Sicilia. Gli irriducibili di Sestola e Castel de’ Britti sono gravati da piadine, prosciutto, tigelle, lardo, formaggio, squacquerone, fi chi caramellati, e in quantità irriferibile lambrusco. I pavullesi mangiano e bruciano, ballando senza sosta. Il gruppone prima dell’alba s’è recintato un lotto a bordo pista sancendo con una tirata di nastro l’extraterritorialità dalla Francia. Tra loro c’è anche una tifosa vietnamita: si chiama Nadine Le. Sono saliti alle sei del mattino e i gendarmi li hanno fatti sgombrare: apertura ore 8, senza discussioni.
La pista è quella giusta: la Face de Bellevarde. Perché Alberto è sempre alle prese con un suo personalissimo capriccio: a Val d’Isère c’è la pista-sì, la Face de Bellevarde per la velocità e questo gigante, e la pista-no, la Daille all’ingresso del paese, dove si era rotto una clavicola nel 1989. E se è per questo ha anche gli anni-sì, i pari, quelli olimpici, e gli anni-no, i dispari, quelli dei Mondiali, le nevi-sì e le nevi-no, i numeri-sì e i numeri-no. Poi, in realtà, è lui stesso a piegare le scaramanzie al comodo suo. Meno di tre mesi fa in Austria, a Sankt Anton, prevedendo il sorpasso da parte di Accola, aveva anticipato che essere primi in classifica di Coppa a Natale portasse sfortuna; poi la gara era saltata perché il cielo aveva scaricato in una notte la neve di un mese - un po’ come ieri -, sicché in testa ci era rimasto lui ma il giorno dopo si era già dimenticato tutto. E via, teorema gettato ai pesci: «Primi a Natale? Non è niente male», aveva gigioneggiato.
In vista del gigante essere unanimemente indicato come il più forte lo aveva disturbato nel profondo, come abraso. «Sono l’unico a non poter rischiare - aveva detto tre giorni prima nel buen retiro del Sestriere, dove gli era stata riservata la spettacolare pista Kandahar Alpette - Metti che salta fuori uno in forma, spara tutto, e io sono secondo». Poi, due mezze manche da fenomeno e s’è preso quest’oro incastonato nel cristallo di Lalique.
La prima manche: inizio veloce ma mai a rischio deragliamento, poi giù controllato su un percorso angolato e con porte vicine. Non c’è un tratto piano su cui far correre lo sci: pura azione sulle lamine. Basta e avanza per chiudere in testa con 13 centesimi su Marc Girardelli, 24 su Aamodt, 31 su Accola, poi Mader e gli altri a un secondo e passa.
La seconda, con inversione dei primi quindici. Alberto ha paura di sbagliare e tiene, diavolo, sta tenendo troppo. Quando manca solo la sua prova Girardelli, Aamodt e Accola, già al traguardo, fi gurano nel tabellone luminoso nello stesso ordine in cui avevano concluso la prima manche. I 13 centesimi di vantaggio su Girardelli diventano 22 di ritardo al primo intertempo. Non così Alberto, oggi di prudenza si può solo morire. E Tomba toglie la spoletta alla Bomba: i 22 centesimi di troppo, al secondo intertempo sono diventati 6. Le ultime porte sono in apnea: sua e di chi lo segue con gli occhi.
Sulle ultime porte frusta i suoi cavalli ed è potenza pura: a poche decine di metri dal traguardo è chiaro che sia davanti, non vorrai mica dubitare, ma nessuno si aspetta Girardelli staccato di 32 centesimi.
Alberto si riprenderà dopo un po’, ricomparendo in sala stampa con la consueta baldanza e la faccia da schiaffi : «Ho visto Deborah vincere l’oro mentre mangiavo qualcosa tra una manche e l’altra. Mi sono detto che non avrei potuto essere da meno». E poi giù con le sue parole in libertà: «Sono su tutti i giornali eh? su quelli politici, su Famiglia Cristiana e su quelli pornografici».
Giornata immensa, ragazzi, personaggio immenso. Roba di cui riparleremo ancora e ancora, magari anche nell’anno 2020.