La colletta del Sistina. Fallimento d'amore

Il presidente della Roma è Marini Dettina, un conte austero ed elegante, medaglia d’argento dopo El Alamein, che per la passione per la Roma si è quasi rovinato. Pensa che, travolto dalla voglia di farsi amare daI tifosi, ha acquistato dal Mantova Sormani, pagato un’enormità: 500 milioni Per farla breve, le finanze sono così dissestate che il ragioniere della società è costretto ad alzare bandiera bianca: non ci sono i soldi per pagare la trasferta di Vicenza
di Enrico Maida
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«Nonno, perché la Roma non vince mai lo scudetto?»
«Non è esattamente così. In questo tormentato ventunesimo secolo ne ha vinto uno e non è che le altre squadre abbiano fatto tanto meglio, a parte Juve e Inter».

«Tu però mi avevi detto che gli americani avrebbero trasformato la Roma in una squadra ricca e imbattibile. Invece qui non si batte chiodo».
«Gli americani si sono avvicinati da poco al calcio. Loro sono bravi nel basket e nel football americano che come sai è una cosa diversa dal calcio europeo. Poi devi sempre tener conto di una cosa. Gli imprenditori americani si dividono in due categorie: quelli con il cognome italiano, e quelli con il cognome statunitense. I primi sono, come dire, un po’ spregiudicati, pensano soprattutto al business. Gli altri, quelli con il cognome che fi nisce con una consonante, sono più vicini all’aspetto sportivo. Vedremo se Friedkin, il nuovo proprietario, mi darà ragione».

«Mi sa tanto che mi conviene diventare juventino ».
«Faresti un grave errore, nipote carissimo. E per dimostrartelo ti racconto una favola. Una favola vera però. Dunque tu non esistevi ancora neanche allo stato progettuale. Tuo nonno, cioè io, avevo da poco compiuto 14 anni. Ero tifoso della Roma in modo totale, senza compromessi. Un amore che mi aveva trasmesso la persona che amavo di più, lo zio Roberto, che ai miei occhi era un gigante in tutto anche perché aveva una tesserina rossa, simile a quella dei giornalisti, dove c’era scritto che poteva entrare allo stadio vita natural durante. Quel diritto - si chiamava socio vitalizio e consentiva anche di portare in tribuna un bambino. Quel bambino ero io. Pensa che ricordo ancora il posto che occupavamo in tribuna Monte Mario: ingresso 10, sedia 4. Accanto a noi c’era Pino Locchi, un doppiatore famoso, la voce di James Bond».

«Ma la Roma era forte?»
«No, al massimo arrivava quinta. Ma aveva un’anima, un capitano eroico di nome Losi, e una predisposizione atavica a subire tutte le ingiustizie di questo mondo. L’arbitro era inesorabilmente un cornuto. Eppure nonostante la mancanza di ambizioni, o forse proprio per questo, i giocatori importanti venivano volentieri a svernare da noi. Ghiggia e Schiaffi no campioni del mondo con l’Uruguay del ‘50, John Charles, il cosiddetto gigante buono, che aveva vinto tutto con Sivori nella Juve, e si presentò con un abito che fasciava crudelmente i fi anchi adiposi, e pure Valentin Angelillo, uno dei tre angeli dalla faccia sporca che s’impadronì subito delle notti romane fi danzandosi con una ballerina, Ilya Lopez, Pensa che questo argentino aveva vinto con l’Inter segnando 33 gol in una sola stagione, un record che è rimasto imbattuto fi no a che l’ha superato Higuain. Comunque il popolo romanista si divertiva a mangiare gli avanzi perché è sempre stato di bocca buona. Ma la storia che voglio raccontarti ha un giorno, una data da non dimenticare. E’ il 31 dicembre del 1964».

«E cosa successe?»
«Il presidente della Roma all’epoca era Marini Dettina, un conte austero ed elegante, medaglia d’argento dopo El Alamein, che per la passione per la Roma si era quasi rovinato. Pensa che travolto dalla voglia di farsi amare daI tifosi aveva acquistato dal Mantova Angelo Benedicto Sormani, un brasiliano scostante pagato un’enormità: 500 milioni. Una cifra folle per quello che divenne subito. Per farla breve le fi nanze erano così dissestate che il ragioniere della società fu costretto ad alzare bandiera bianca: non c’erano i soldi per pagare la trasferta di Vicenza».

«Ma non potevano pagare di tasca propria i giocatori?».
«Avrebbero potuto, certo, ma l’allenatore Lorenzo, quello che ha lavorato anche per la Lazio, ebbe la bella idea di chiamare a raccolta i tifosi. Coinvolgendo due tifosi illustri, Garinei e Giovannini, i quali misero a disposizione il loro teatro, il celebre Sistina, per ospitare quella che sarebbe poi passata alla storia come la colletta del Sistina. Così il 31 dicembre del 1964 prima di festeggiare il capodanno, il povero Giacomino Losi fu fornito di un secchiello da champagne per raccogliere le offerte dei generosi tifosi romanisti. Tra i quali c’era anche tuo nonno che senza alcuna esitazione vuotò le tasche lasciando nel secchiello l’astronomica cifra di mille lire, tutto quello che aveva. Prima che gli ormoni di un quattordicenne conducessero lo sguardo su una spettacolosa Bluebell uscita di soppiatto da un camerino del Sistina. Aveva gambe lunghe quanto tutto Losi».

«E poi come andò?»
«La colletta fruttò 800.000 lire, la Roma perse a Vicenza, dove comunque andò a spese del conte Marini Dettina, che si era sentito umiliato. Sulla destinazione della mia preziosa banconota non ho notizie. Ma ti ho raccontato questa storia per farti capire che essere tifosi della Roma è qualcosa di unico, Nella carriera del tifoso romanista ci sono episodi e fatti assolutamente unici. Quale squadra ha perso la finale della Coppa dei Campioni giocando in casa la finale? Quale tifoso può vantare un’emozione come quella del 20 aprile 1986 quando il Lecce, già retrocesso in B, vinse all’Olimpico sfi lando alla Roma uno scudetto ormai vinto? Quale tifoso può raccontare di avere spasimato per Sperotto e Spanio, per Carpenetti e Ardizzon, per Andrade e Fabio Junior? E su tutti e tutto, naturalmente, la colletta del Sistina. Solo i romanisti hanno nel pedigree quel secchiello argentato. Altro che Juve».


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