L'Italia vede i draghi (non solo agli Europei): House of the Dragon dopo due episodi

Il prequel di Game of Thrones in tv per la seconda stagione: la recensione e alcune considerazioni sul futuro
L'Italia vede i draghi (non solo agli Europei): House of the Dragon dopo due episodi
Mattia Rotondi
3 min

C’è un’Italia intera, o quasi, che ha visto i draghi. No, non parliamo dello spettro dell’eliminazione che gli azzurri di Spalletti ieri hanno accarezzato, almeno fino al 98’ della sfida contro la Croazia. Parliamo di House of the Dragon, seconda stagione. Dopo l’incredibile successo della prima (incredibile perché non si tratta di una serie con una scrittura semplice), ora sta di nuovo tenendo incollati gli spettatori alla tv, ansiosi di vedere con i propri occhi come andrà a finire la disputa per il trono.

L'oscurità rimane

Dove eravamo rimasti? Ecco, questo è il problema iniziale. O vi guardate qualche riassunto su Youtube oppure rimarrete un po’ smarriti. Perché agli autori, come sempre, non interessa minimamente aiutarvi. Il piacere dello spettacolo va guadagnato. Per il resto, si riparte dalle stesse atmosfere inquietanti e dark della prima stagione. L’ansia di una guerra che sembra sempre sul punto di scoppiare nella sequenza successiva non viene compensata da alcun momento di alleggerimento. Anzi. Cresce e si dispiega volando sulle ali dei draghi da una parte all’altra di un mondo vicinissimo al caos. Proseguono intrighi e strategie, appesantiti dal desiderio di vendetta e da veri e propri shock per gli spettatori: al buon Martin (l’autore dei libri da cui è tratto questo mondo) sono sempre paciuti gli avvenimenti inaspettati e soprattutto le morti improvvise (per caso avete detto Nozze Rosse?). Non sembra esserci margine per la salvezza o per la redenzione. Forse giusto per piccole dosi di pentimento, che però cedono subito il passo agli eventi.

Lo spettatore assiste impotente alle prime rocce rotolanti di una futura valanga che travolgerà i personaggi. Vede la follia e le scelte sconsiderate scavare un solco in cui sotterrare razionalità e lungimiranza.

Se son rose...

Il procedere lento della serie, per ora, non lascia però staccare gli occhi dallo schermo, anzi solletica una sorta di vouyerismo nero che compensa la mancanza di ritmo. Ma tutto si gioca su un equilibrio estremamente sensibile e bisognerà capire se gli sceneggiatori riusciranno nel duro compito di attrarre ancora una larga parte di spettatori senza scendere per nulla a compromessi. Insomma, visto l’umore generale della serie, viene da dire “se sono rose, (s)fioriranno”.

Dalla commedia al dramma

Nota finale: Rhys Ifans, l’attore che interpreta Otto Hightower, è la vera star delle prime due puntate, dal punto di vista recitativo. Riesce, con una interpretazione drammatica prima misurata e poi impetuosa, a cancellare dalle menti il residuo del ricordo di quel personaggio “particolare” a cui diede volto e corpo in Notting Hill.


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