Nomad, Herzog racconta Chatwin: la recensione

Il documentario del regista tedesco sull'amico scrittore commuove la Festa del Cinema
di Mattia Rotondi
2 min

ROMA - Con lo zaino sulle spalle, il suo zaino in pelle, sulle tracce di Bruce Chatwin. Werner Herzog si regala e ci regala nel documentario Nomad: The Footsteps Of Bruce Chatwin un viaggio nella mente, negli scritti e nelle imprese dello scrittore britannico.

Spiriti irrequieti

Cinema, letteratura, antropologia e poesia si intersecano portando ognuno il loro pezzo in un mosaico che alla fine ci mostra la vita dello scrittore spesso attraverso proprio il rapporto con il regista.
La loro amicizia era fondata sulla passione per l’esplorazione. Su quell’ansia per la scoperta che li ha sempre portati a non essere mai felici nello stesso posto per troppo tempo. Sostanzialmente e profondamente irrequieti, con le suole delle scarpe sempre consumate dai chilometri percorsi. 
Due uomini che hanno sempre avuto una passione per le storie e per il raccontarle. Il bisogno di partire, il bisogno soprattutto del camminare per scoprire, viaggi lenti per comprendere e non solo semplicemente per vedere. Per trovare, come spiega un capitolo del documentario, i luoghi dell’anima.

Amicizia e dolore

Lo sguardo del regista, volutamente, non è oggettivo. Tutt’altro. É puramente emotivo. Non nasconde la commozione, anche senza ostentarla. Quello zaino in pelle, regalo dell’amico Bruce, scatena reazioni che la camera raccoglie con delicatezza. Anche il racconto della fine di Chatwin (morì a 49 anni di Aids) è diretto, doloroso.
Per tutto quanto scritto, il documentario (presentato alla Festa del Cinema di Roma) può essere apprezzato anche da chi non conosce lo scrittore.


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