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Alessandro Barbano
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Il rischio di un esperimento così ardito contro la Germania era proprio questo. Trasformarsi in una di quelle formazioni raccogliticce che nei ritiri servono per allenare la prima squadra. Se c’è una cosa che stona in questo allenamento, è l’irritazione di Mancini. Che fa dell’azzardo la sua strategia, schierando nove undicesimi diversi da quelli che hanno vinto facile con l’Ungheria e pareggiato con onore contro l’Inghilterra, cambia il modulo tattico prima della fine del primo tempo passando dal 4-3-3 al 3-5-2, prova un difensore centrale come Scalvini nel ruolo di centrocampista centrale, e poi si stupisce che l’Italia affondi. Come se non sapesse che la maggior parte dei tedeschi ha già vinto almeno una Champions. 

Un esperimento concepito in questo modo può essere utile per valutare le qualità e la capacità di reazione dei singoli, non per testare un nuovo ciclo, che richiede rodaggio e affiatamento per un gruppo più ristretto. Se tra una partita e l’altra sostituisci tutti e quattro i difensori, non puoi pretendere che questi tengano la linea ordinatamente e chiudano lo spazio alle posizioni di tiro degli avversari, come ha mancato di fare Calabria sul primo gol. Poi, certo, la Germania palleggia con una velocità e un raziocinio invidiabili, gioca tra le linee verticalizzando e smarcando i centrocampisti al tiro, doma ogni tentativo di reazione degli azzurri con una padronanza tattica e psicologica che mostrano tutta la differenza tra una formazione che legittimamente punta a salire sul podio del Qatar e una che il Qatar lo vedrà dalla tv. 

Qualcosa tuttavia resta da questa finestra sperimentale di fine stagione. In primo luogo l’evoluzione del gioco che, sia pure a sprazzi, Mancini ha propiziato, puntando su verticalizzazioni congeniali a centrocampisti più dinamici rispetto al duo dei palleggiatori Verratti-Jorginho. In secondo luogo il test positivo per alcuni azzurri a cui con coraggio il ct ha dato fiducia, e tra questi senz’altro Tonali, Frattesi, Gatti, Scamacca. In terzo luogo la responsabilizzazione di Pellegrini come vero uomo squadra della Nazionale, alla quale il romanista ha risposto dimostrandosi pronto a raccogliere la sfida. 
 
Un discorso a parte merita Gnonto. Nessuno può pensare che un diciottenne di talento, privo di qualunque esperienza nel calcio competitivo delle Leghe Top né tantomeno nelle Coppe europee, possa essere il presente o il futuro prossimo della Nazionale. Dandogli fiducia, Mancini ha piuttosto lanciato un messaggio ai club che fin qui hanno anteposto le loro miopi strategie di mercato e l’urgenza di vincere alle sorti dell’Italia. Quella maglia all’attaccante dello Zurigo vuol dire semplicemente «fate giocare i giovani», appello che ci sentiamo di condividere.

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