Così Aleksander Ceferin, presidente dell’Uefa, ora alle prese con una crescente fronda interna: «Nella Superlega non è compreso il merito sportivo». E poi: «Il calcio non è in vendita». Lui e Infantino ci mostrino, per favore, le ricevute di quando l’hanno comprato. E così Kalle Rummenigge, presidente del consiglio di gestione del Bayern: «Ora c’è democrazia e il calcio non è solo una questione di soldi». La stessa democrazia rappresentata, immagino, da Nasser Al-Khelaifi, presidente del Psg e numero 1 dell’Eca: «Si parla di libertà, ma non c’è libertà». È lo stesso Nasser che ha sempre avuto la libertà - quella sì - di spendere centinaia di milioni attingendoli, a seconda delle circostanze, dalle casse del Psg o da quelle di qualche generoso ente turistico qatariota. Il tutto alla faccia del Financial Fair Play. Dell’Uefa. Comportamenti che devono essere risultati graditi a Ceferin e compagnia al punto che il Nostro è ai vertici dell’Associazione dei club europei. Le parole sono importanti!, come disse Nanni Moretti. Che aggiunse «chi parla male, pensa male. E vive male». All’Uefa succede esattamente il contrario: chi pensa male, parla male. E vive da privilegiato. Al di là degli effetti che la sentenza del 21 dicembre potrà avere sul calcio - tanti, pochi, nessun effetto lo escludo - la Corte Europea ha stabilito una volta per tutte un principio sostanziale: il calcio è impresa, è industria, e deve sottostare alle regole dell’impresa.
Chi - come Ceferin, Tebas e Nasser - prova a difendere i propri interessi economici e elettorali ricorrendo ai valori sportivi e emozionali, alle bandiere e alla libertà è semplicemente un ipocrita. E sono buono. Il calcio è emozione, amore, valori, bandiere e cuore solo per i tifosi, che peraltro lo pagano a carissimo prezzo. Per chi lo governa (Infantino, Ceferin) è semplicemente poltrona, potere. Curioso, a tal proposito, che a 10 giorni dalla sentenza della Corte Europea sulla Superlega il 56enne Ceferin si sia messo d’impegno per modificare in fretta lo statuto al fine di prolungare la sua presidenza. Quello in vigore specifica che nessuno può ricoprire il ruolo di numero 1 dell’organo-guida del calcio europeo per più di 12 anni, durata massima per un incarico rinnovato per tre mandati. Come ha riportato il Financial Times, l’Uefa vuole superare questo ostacolo e favorire così un ulteriore rinnovo di Ceferin, in carica dal 2016: il suo scadrà nel 2027, quindi a 11 anni dall’insediamento. Secondo lo statuto da lui stesso sostenuto nel 2016, non potrebbe essere allungato attraverso un ulteriore mandato che quadriennale. Praticamente un mandato dittatoriale. Mi risulta che molti consiglieri Uefa non abbiano gradito questa novità, primo fra tutti Zvone Boban. Ma vorrei dire a Ceferin che un ulteriore mandato conterrebbe paradossalmente una sua ispirazione corretta. La crisi avanza e la bandiera bianca è giusto che la sventoli proprio lui.