In qualsiasi altro Paese Claudio Ranieri sarebbe considerato una leggenda del calcio. Un allenatore preparato, e un hombre vertical che in 71 anni non ha mai derogato ai principi della buona educazione. In nessun momento della sua lunghissima carriera che lo ha visto su panchine prestigiose come Juventus, Inter, Roma, Chelsea, Atletico Madrid, Valencia, Monaco.
Da perdente di lusso a monumento
Uno dei primi allenatori italiani ad andare all'estero. A lungo, ingiustamente, è stato etichettato come un perdente di lusso. Anche e soprattutto perché c'era lui alla guida del Chelsea prima che Abramovich scegliesse Mourinho che lo rese bersaglio dei suoi attacchi. Un vero gentiluomo non cede mai alle provocazioni. Ha sempre risposto col sorriso. Ha sempre saputo incassare e aspettare, una sorta di Siddharta del calcio. Prima che invertisse il destino e firmasse quella che è considerata l'impresa più straordinaria del football contemporaneo, e probabilmente non solo: la vittoria della Premier League con il Leicester nella stagione 2015-2016. Un successo che se la gioca col trionfo della Grecia agli Europei del 2004. A quel punto, dopo Leicester, nessuno ha potuto dire più nulla. In un amen è passato da perdente a monumento. Anche se, incredibilmente, nessun grande club gli ha poi affidato la propria panchina. Non solo, ma l'anno dopo il Leicester lo ha persino esonerato.
Fedele a sé stesso
Claudio Ranieri ha difetti considerati gravi per il calcio contemporaneo: è refrattario alle mode; non si prende sul serio, porta nel suo Dna quel sano distacco romano; non crede di aver inventato nulla e gli si legge negli occhi la consapevolezza che il mondo e la vita sono più ampi di un campo da calcio. Vittima della voglia di incasellare le persone: viene etichettato come italianista (come se fosse un'offesa), in realtà le sue squadre sanno giocare in ogni modo come ha dimostrato con la sua ultima Sampdoria. Ranieri ha attraversato il suo mondo senza mai rinnegare sé stesso. A Catanzaro, dove da calciatore è rimasto otto anni, i suoi ex compagni hanno sempre saputo di poter contare su di lui per qualsiasi tipo di aiuto. Aiuto sempre silenzioso, ovviamente, l'ostentazione non gli appartiene.
Il ritorno a Cagliari
Per provare a invertire la rotta del suo Cagliari, e per placare la piazza, Giulini si è affidato a un professionista molto amato in città. Fu Claudio Ranieri, nel secolo scorso stagione 88-89, a prendere il Cagliari in Serie C e a riportarlo in Serie A in soli due anni. Mancava dalla Serie A dal 1983. In Serie C aveva con sé l'allora sconosciuto Cappioli, e poi Piovani, Ielpo. In tre anni divenne un simbolo della Sardegna. E da lì cominciò una carriera che lo ha portato in tutta Europa. A Roma, con la sua Roma, toccò con le dita lo scudetto. Subentrò a Spalletti dopo appena due giornate della stagione 2009-2010. Da testaccino sapiente ricompattò quel gruppo e a quattro giornate dalla fine era in testa al campionato davanti all'Inter del solito Mourinho. Evidentemente non era ancora il momento della svolta. Roma-Sampdoria 1-2 resta una versione riveduta e corretta di Roma-Lecce. Primo tempo dominato, gol mangiati a grappoli. Poi arrivò Pazzini.
Il mister Wolf del calcio
Le sfide non lo hanno mai spaventato. Fu il primo allenatore del Napoli post-Maradona. Si confrontò con una piazza che faceva fatica a capire che una pagina si era definitivamente chiusa e si ostinava a ragionare in termini di grandeur. A lui si affidò Cecchi Gori quando le sue follie condussero la Fiorentina alla retrocessione. Anche il Monaco in seconda serie chiamò lui e in una stagione e mezza li portò al secondo posto. È un po' il mister Wolf del calcio: quando si ha un problema, si chiama Ranieri. Ora torna a Cagliari, di nuovo in Serie B. Il signor Claudio ha il grande pregio di non avere la puzza sotto il naso. Eredita una squadra al dodicesimo posto, a tre punti dalla retrocessione. Che nelle ultime nove partite ha vinto una sola volta. Ha vissuto situazioni peggiori, Cagliari lo sa.