Dieci anni fa Carmelo Imbriani ha iniziato a disegnare il suo calcio tra le nuvole. Chi l’ha conosciuto, chi gli ha voluto bene, chi ha tifato per lui non ha avuto il tempo di vedere affiorare tra i suoi capelli neanche un accenno d’argento a incorniciare quel volto buono e quell’aria da eterno ragazzino. Quello che esulta per un gol contro l’Inter con una maglia del Napoli che quasi gli si sfila da sola, per quanto sembra andargli grande; o che si tuffa tra il fango con la numero 7 del Benevento dopo un gol nel derby, proprio sotto i suoi tifosi.
Carmelo Imbriani, dieci anni dalla morte
Cresciuto nel Napoli, ha girato tante piazze del Sud prima di tornare a casa, a Benevento, dov’era nato e dove aveva le sue radici, a Ceppaloni. Da grande Carmelo aveva deciso di fare l’allenatore e l’estate 2012 doveva essere l’inizio di tutto. Aveva chiuso la stagione subentrando alla guida della prima squadra in C1, era stato confermato e in quei mesi maledetti stava plasmando il suo primo, vero Benevento. E poi una febbre strana, gli accertamenti, la diagnosi terribile. Un primo ciclo di cure che illude, le sue parole che sanno di futuro, di voglia di lottare non solo in corsia ma anche dalla panchina, finalmente. Ma la battaglia non è finita. «Imbriani non mollare» è lo slogan che unisce i tifosi di tutta Italia. Lui non ha mai mollato, nemmeno in quella fredda alba del 15 febbraio 2013. «Carmelo è andato in cielo», scrivono da Perugia. Può tornare a casa, per un ultimo giro sotto la Curva Sud.
Imbriani, il ricordo
Non sapremo mai come sarebbe diventato con qualche ruga in più, come avrebbe fatto giocare quel Benevento e tante altre squadre. Di lui ci resta il ricordo indelebile di un ragazzo perbene, di un calciatore pulito e generoso, di un padre affettuoso. Oggi l’antistadio dove il Benevento si allena porta il suo nome. E il suo sguardo dolce spunta all’improvviso da un murale in via D’Azeglio, a due passi dallo stadio. Quando c’è il sole Carmelo sorride ancora di più.