Sì, la sconfitta. Amara, amarissima per come è maturata: l’Inter ha fatto il minimo per vincere. Sì, la coppa in settimana. Da aggiustare. Ma tutto passa in secondo piano di fronte alla terza protesta consecutiva della Sud: ribadisco, civile, altrimenti non me ne occuperei.
Siamo ancora a ottobre, la stagione è cominciata da poco ma tanto è successo e tutto è ancora in discussione, quantomeno sul piano sportivo, e allora credo che l’urgenza della Roma (società) debba essere, sia la ricostruzione di un rapporto al momento inesistente con la parte più influente, presente e storicamente rumorosa della tifoseria.
Non è pensabile proseguire con assenze che si aggiungono ad assenze: mi riferisco ai quarti d’ora di silenzio e vuoti della curva, riempiti da striscioni fin troppo espliciti, che sottolineano la distanza attuale tra la proprietà e la piazza. Una proprietà che non fa mancare mai il denaro, i milioni, ma che abbonda anche in sorprese e shock, quasi sempre inspiegabili o mai chiariti.
L’aspetto paradossale della situazione è proprio questo: il tifoso non rimprovera ai Friedkin di non mettere i soldi, ma di non mettere altro, la faccia, di evitare qualsiasi contatto.
A questo punto non so se basterà presentare un nuovo dirigente (italiano, o di formazione italiana) per colmare in fretta i tanti vuoti: serve la voce del numero uno, serve un’assunzione di responsabilità di chi ha deciso di mettere risorse e impegno nella Roma. Servono risposte. Serve l’energia della presenza.
Perché, per dirla alla Coelho, anche l’assenza di risposte è una risposta.
PS. Lo Zalewski della nazionale polacca è un giocatore che alla Roma non si è mai visto: qui gioca il cugino titubante e confuso; i piedi di Celik sono il quarto segreto di Fatima e insomma mi chiedo di nuovo perché Dahl e perché Abdulhamid, visto che da anni sugli esterni la Roma non vale la serie. Della squadra di ieri salvo Svilar, Dovbyk, N’Dicka. E Dybala, a prescindere.