L’inizio è dolce, assurdo, felice. L’intreccio pieno di buona volontà, forte e carico di tensioni. La fine, una lacerazione. Sono parole di Nuria Barrios, l’autrice di “Amori patologici”: descrivono perfettamente una storia non solo di calcio lunga trenta partite, pochi mesi, troppo pochi, dalla quale Daniele De Rossi, romanista di una vita e di un’altra storia, esce lacerato: «Stavolta non torno più». Dice. Dice che ha pagato per i risultati: una sola vittoria nelle ultime undici partite, lo scorso 19 maggio contro il Genoa, coincidenza che ricorre sinistramente. E dice anche che proprio lui aveva chiesto di essere trattato non come una leggenda del club, ma come un allenatore. E dice che la Roma ha cacciato De Rossi perché proprio da allenatore senza risultati è stato trattato. Non dice, però, che l’allenatore De Rossi aveva avuto la squadra al completo soltanto il giovedì che ha preceduto la trasferta di Marassi, allenamento il venerdì, rifinitura e partenza il sabato - Marassi è una sorta di buco nero per chi allena la Roma.
E dice inoltre - perché Roma dice e le voci si rincorrono fino ad accavallarsi, soprattutto quelle incontrollate - che se pochi mesi prima la proprietà dichiara di investire tre anni e una ventina di milioni lordi su un giovane tecnico molto bravo per un progetto in stile Leverkusen, non può poi bruciarlo dopo appena quattro giornate. Se lo taglia dopo un mese di campionato significa che ci stava pensando da un pezzo: sappiamo bene - lo sa anche Mourinho - che il decisionismo dei Friedkin è a tappe e prevede numerose rielaborazioni prodotte dai risultati: ci pensano per mesi fino a quando decidono che è giunto il momento di tirare la botta secca tra le 7 e le 8 del mattino.
L’esonero di Daniele ha spiazzato tutti quelli che pensano un certo calcio e si ritrovano alle prese con qualcosa di nuovo, spesso incomprensibile e disturbante. È vero che da lunedì circolava la voce del licenziamento, ma nessuno credeva che fosse possibile. Tant’è che martedì i media avevano trasmesso questa certezza: “Tutti con Daniele”. Ma tutti chi? Anche chi, nei giorni scorsi, aveva posto dei dubbi sulle capacità del tecnico è rimasto scioccato. Tante cose non posso condividere di questo esonero (così come non ho mai mandato giù quello di Mourinho): i tempi e anche i modi, precisando tuttavia che i Friedkin mettono il grano e sono liberissimi di assumersi responsabilità e rischi. Dicevo dei modi: c’è un passaggio del comunicato della Roma che in questa occasione avrei francamente evitato: “A Daniele, che sarà sempre di casa nel club giallorosso...”. Dopo 616 partite da calciatore e 30 da allenatore De Rossi alla Roma ha molto più della residenza. La scelta di Juric è stata altrettanto sorprendente, ma qui entrano in campo i tempi ristretti e i rapporti con l’agente del croato. Il riso abbonda sulla bocca di Trigoria.
PS. Non c’è stata alcuna litigata tra De Rossi e Lina Souloukou: Daniele ha assorbito il colpo con educazione e rispetto. Della sua storia.