Totti, il patrimonio del capitano

Leggi il commento del direttore del Corriere dello Sport-Stadio
Ivan Zazzaroni
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Totti dirigente sarebbe un atto di giustizia, un’enorme curiosità soddisfatta e avrebbe una logica ben precisa. Tuttavia dopo sette anni dirigente non lo è ancora. Trovo paradossale che chi fa del calcio ad alto livello la propria vita, ne affronta quotidianamente e per anni tutte le situazioni e combinazioni possibili, una volta conclusa la carriera possa solo reinventarsi allenatore o, se proprio gli va male, opinionista televisivo, per rompere spesso i coglioni a colleghi ai quali non potrebbe nemmeno pulire le scarpe e togliendo spazio a chi della comunicazione ha fatto la propria ragione d’essere. Questa è tuttavia una responsabilità attribuibile a noi giornalisti. Non lo ripeterò mai abbastanza: è puro masochismo professionale.

Nel tempo qualche campione o ipotesi di campione si è riciclato come procuratore (Tinti, Damiani, Marchisio, Ariatti) e qualcun altro ha battuto la strada della direzione sportiva (Sartori, De Sanctis, Giovanni Galli, Boban, Petrachi, Balzaretti). Raramente però le chiavi del comando sono state consegnate a un grande ex (Zoff, Mazzola, Maldini): sono convinto che alla base della crisi del calcio italiano ci sia anche l’assenza di ex praticanti ai vertici dei club, quasi sempre occupati da gente senza alcuna esperienza specifica, per non parlare dell’improbabile passione.

Nell’intervista concessa a Sky Francesco ha ribadito con chiarezza quale sarebbe il suo desiderio e che un ruolo di sostanza gli interesserebbe eccome. D’immagine, no. Mi sembra il minimo. Tra una battuta solo apparentemente scherzosa e l’altra, non ha risparmiato appunti alla sua Roma, in particolare sul mercato, sull’assenza di una comunicazione chiara e pop e sui silenzi americani.

Torno al punto: all’estero gli ex sono parte integrante dei management: Rummenigge, Hoeness, Ronaldo il Fenomeno, Beckham, Van der Sar, Scholes, Butt, Rui Costa, Deco e Ibrahimovic hanno avuto - o hanno - ruoli operativi, fornendo notevoli contributi alla crescita di società e squadra. Perché allora gente come Totti, Del Piero, lo stesso Maldini, Zola, Baggio, Filippo Galli e altri non può mettere un tocco personale di competenza in un settore che si allontana sempre più dalla gente, riequilibrando anche il rapporto col tifoso?

Nel mio mondo ideale, che essendo ideale non sembra realizzabile, il calciatore gioca vent’anni, guadagna milioni (è un grosso merito), si ritira, diventa allenatore o dirigente e riporta sul campo le conoscenze accumulate, mentre il giornalista parla e scrive e guadagna in autorevolezza e credibilità confrontandosi ogni giorno tanto con dirigenti, ds e atleti quanto con i lettori o i telespettatori. E i presidenti? In un calcio ideale lavorano con i loro direttori sportivi e non con agenti dedicati o intermediari ai quali interessa in prevalenza la quantità più che la qualità delle operazioni. Nel calcio ideale ognuno fa quello che sa fare meglio. Poi, certo, in tutti i settori ci sono le eccezioni. La cultura è la regola, il calcio è l’eccezione.


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