Roma, la fabbrica di San Pietro

Leggi il commento al piazzamento in campionato della squadra di De Rossi
Roma, la fabbrica di San Pietro© AS Roma via Getty Images
Marco Evangelisti
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Il sesto è il posto in cui la Roma s’incastra esattamente, con il clic che tanta soddisfazione dà a chi completa un rompicapo. Poteva essere il quinto, se Motta e Sartori non avessero inventato il Bologna. In tempi di Champions e Superchampions non è una differenza da poco. Ma almeno il carattere necessario per reagire all’inferiorità numerica, la testaccia velenosa di Lukaku, le improvvise intuizioni tecniche di El Shaarawy, l’accuratezza dell’allenatore che volle farsi leader hanno condotto a un risultato che si può annusare e toccare. Il sesto posto corrisponde al valore della rosa e significa poter coltivare ancora la grande illusione che arrivi una man dal cielo, quella della Dea se non quella di Dio, e che trasporti il club nelle più respirabili arie della Champions. Dovrebbero accadere molte cose particolari, però è sempre consigliabile andare a letto con un buon motivo per rispondere alla sveglia successiva. 
Di tanto in tanto, e sempre meravigliandoci, scopriamo persone di malumore perché sospettano che De Rossi sia stato ingaggiato con lo scopo di far meglio inghiottire ai sostenitori la separazione da Mourinho. Il che è un po’ come sospettare che il fuoco scotti o che la Terra non sia piatta. De Rossi era l’unico allenatore professionista disponibile con la faccia giusta e il carisma adatto alla missione, a prescindere dal curriculum professionale nel suo caso ancora sottile. Non poteva esserci scelta più opportuna, lì e allora, e in seguito, non appena Ddr ha dimostrato di poter fare il lavoro, non poteva esserci alternativa a confermarlo, a usarlo come testata d’angolo dell’edificio da costruire. Quello sì dovrà essere nuovo, ecologico, sostenibile e realizzato con materiali di pregio. 
Club assai più monumentali della Roma hanno affidato la panchina a giocatori storici in momenti di difficoltà, senza provare il minimo imbarazzo. Non c’era e non c’è motivo di non avere fiducia in De Rossi. Non c’era secondo noi neppure motivo di non avere fiducia in Mourinho, ma questo è un altro discorso e assai stantio. In un campionato che spinge un mucchio di bella gente a sgranocchiare allenatori come patatine, a confondere scienza calcistica e fede ideologica, a liberarsi di personaggi gloriosi pur di rompere i legami con il passato, stabilire un punto d’appoggio saldo può permettere di sollevare il mondo. 

Una fabbrica di San Pietro

Nello specifico, altre certezze non ci sono. Ieri nella sudata di fine stagione contro il Genoa tutti i limiti di qualità, personalità, fantasia, potenza di questa Roma sono stati squadernati come nel ripasso di una lezione noiosa. Nel primo tempo gli stracci bagnati tirati da Paredes oltre qualsiasi bersaglio plausibile sembravano segni simbolici di una logorante impotenza. L’assenza in avvio di Dybala, ormai ricorrente e puntuale quanto il ciclo lunare, ha ridotto ai decimali la precisione del palleggio. Negli ingorghi d’area il gioco si smarrisce, per la cronica assenza di uomini in grado di modellare un dribbling. Compreso Baldanzi, che pure s’impegna allo spasimo e deve soltanto imparare a sostenere il contatto fisico, materia nella quale è ovviamente svantaggiato. 
Aggiungiamo a queste pecche intrinseche la destrutturazione che probabilmente colpirà la rosa: giocatori oggi portanti, dal rendimento magari insoddisfacente ma di sicuro basilari nell’organizzazione tattica, sono destinati a lasciare la Roma. Per convinzione del tecnico designato, per esaurimento delle scorte di entusiasmo, per incompatibilità economica. Sarà una squadra differente sotto molti aspetti quella che affronterà la prossima stagione. Dovrà esserlo e francamente non è un male. Un nuovo inizio, guidato da una dirigenza che sembra sapere il fatto suo, da Friedkin a Souloukou, potrebbe spazzare via dallo stomaco dei tifosi quella sgradevole sensazione di perenne attesa, di abitare un cantiere polveroso, labirintico, caotico, aperto da un’eternità e dall’imprevedibile data di chiusura. Una fabbrica di San Pietro simile a qualsiasi cosa si cerchi di realizzare nella città più bella e tormentata di tutte. 


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